La paura, cattiva consigliera

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SE MI CHIAMANO A DISCUTERE, IO CI VADO.

PER DIMOSTRARE CHE L’AUTODETERMINAZIONE NON È SOLO QUELLA DEGLI SCHÜTZEN, CHE L’AUTONOMIA È STATA UNA FORMA PACIFICA E INTELLIGENTE DI SELBSTBESTIMMUNG E SOPRATTUTTO CHE IL FUTURO È L’EUROPA, NON LO STATERELLO DEL SUDTIROLO

RISPOSTA A FLORIAN KRONBICHLER.

Io non ho paura. Non ho paura delle parole, neppure della parola “autodeterminazione”, che solo nella repubblichetta del Sudtirolo equivale al nazionalismo bonsai di Eva Klotz e compagnia. Altrove, dalle tribù dell’Amazzonia al movimento femminista, autodeterminazione vuol dire libertà di disporre di sé e delle proprie risorse, un principio democratico di cui pretendo di riappropriarmi, liberandolo dalla gabbia etnica in cui l’hanno rinchiuso gli Schützen e le loro vivandiere.

E se per Florian Kronbichler questo vuol dire frequentare cattive compagnie e traviare i giovani (verdi), io vorrei chiedere a Florian Kronbichler, e a tutti i sudtirolesi miei fratelli negli ideali, perché dopo 60 anni di battaglie democratiche non siamo riusciti ad estirpare dal mondo di lingua tedesca il sogno di uno staterello indipendente del Sudtirolo, tanto che ad esso si aggrappano alla cieca anche diversi esponenti di una Svp in crisi d’identità.

Non mi rassegno al fatto che la destra tedesca prenda i voti di un terzo dei sudtirolesi e che la balena Svp le vada dietro. Voglio provare a demolire il consenso di cui attualmente gode e questo si fa non con gli anatemi, ma con gli argomenti, di cui non ho paura.

E ora spostiamoci sul luogo del delitto: il convegno “Vision Freistaat”, organizzato un mese fa dalla Accademia Cusano di Bressanone. Lì ho detto tre cose.

Primo, ho detto che di autodeterminazione non ce n’è una sola. Autodeterminazione è anche il diritto di ogni persona a decidere della propria vita, di ogni donna a disporre del proprio corpo, di ogni paziente a decidere sulle cure: diritti civili e libertà individuali che abbiamo difeso sempre, dal divorzio al “caso Englaro”.

Altra cosa è l'”autodeterminazione dei popoli”, principio del secolo scorso che va preso con le molle. Sacrosanta nelle lotte di liberazione anti-coloniale, l’autodeterminazione è stata poi strumentalizzata dai micro-nazionalismi delle guerre civili e delle pulizie etniche ed è finita così  per diventare dittatura del gruppo sull’individuo e negazione di quel principio di libertà che ne sta all’origine.

Le Nazioni Unite considerano legittima l’autodeterminazione solo da parte di popoli soggetti a dominio militare straniero, o gruppi sociali cui le autorità nazionali neghino un effettivo diritto allo sviluppo politico, economico, sociale e culturale. Che non mi pare sia il caso dell’Alto Adige.

Secondo, ho detto che di modi di fare l’autodeterminazione non ce n’è uno solo. Non c’è solo quello di Klotz e compagnia: il referendum secessionista che sposta per l’ennesima volta i confini e ti costringe a scegliere se adattarti o andartene.

No. Anche il cammino percorso dall’autonomia dell’Alto Adige – Südtirol, spostando radicalmente la sovranità dallo Stato centrale al territorio, deve essere considerata una forma di progressiva autodeterminazione, forse meno eroica e più lenta, ma in compenso più pacifica e democratica. L’autonomia è stata un’autodeterminazione intelligente e di successo e non ha fatto vittime, al contrario di quanto fa ogni micro-indipendenza.

Certo, alla nostra autonomia manca ancora molto. Ma quel che manca non è il diventare stato, con esercito, inno e bandiera. Manca invece la democrazia interna, manca il pluralismo politico e culturale, manca il coraggio civile, la trasparenza, lo stato di diritto. Il problema dei sudtirolesi oggi non è liberarsi da Roma o da Trento, ma da quell'”alleanza strategica” politico-economica che fa prevalere l’interesse di pochi su quello di tutti.

Infine, ho messo in guardia dal rischio che il sogno di uno stato indipendente non si trasformi nell’incubo opposto: in un Tirolo solo tedesco come mai e poi mai è stato nei secoli dei secoli, in uno staterello ultra-dipendente dal turismo del cemento.

Se proprio si vuole immaginare un futuro ulteriore, ho detto, bisogna immaginarselo più aperto e più ricco, non più chiuso e gretto dell’attuale. E qui, per contrapporre visione a visione, ho citato l’ipotesi avanzata anni fa sul Corriere della Sera dall’ex ambasciatore Sergio Romano: che l’Europa, nel suo evolversi ed unirsi, possa riconoscere in futuro agli abitanti di terre di confine come la nostra, oggetto un tempo di contese tra stati, una sorta di cittadinanza plurale, un passaporto multiplo europeo, uno status di territorio comune plurilingue dai confini diluiti. E più nessuna patria da servire in armi, più nessuna minoranza o maggioranza. Un’evoluzione dell’autonomia, contro l’involuzione dell’indipendenza sognata dalla destra sudtirol-leghista.

Questo è quel che penso e dico. Vi sembrano opinioni pericolose? A me no.

(Pubblicato sul Corriere dell’Alto Adige il 24 marzo 2009).

 

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24 pensieri riguardo “La paura, cattiva consigliera

  1. la debolezza del tema autodeterminazione non sta tanto nelle paure che suscita in chi la rifiuta , ma piuttosto nella paura in chi la propone. Su “ff” viene liquidata la contrarietà all’idea dell’autodeterminazione con un circa “litania dei pacifisti a priori contrari”. I valori che guardano all’universalismo, alla solidarietà planetaria, vengono guardati e giudicati come litania, come se fosse noioso pensare un mondo (o almeno un europa come prima meta) sempre più uguale nel diritto. Questa posizione che crede auspicabile un futuro che allarga i confini e i diritti oltre che i doveri, viene giudicata statica o impaurita. Ma è la proposta all’autodetermionazione (per nulla moderna o nuova…) che nasce da nuove vecchie paure, per esempio dalla voglia di far diventare la propria culla il mondo e quindi dalla paura di crescere e allargare le identità o dalla paura di perdere privilegi economici.
    Il secolo scorso ha dimostrato che le richieste di autodeterminazione non hanno mai aperto la strada a paci durature, ma solo a nuove richieste di nuovi stati. Autonomie locali con democrazia diretta sempre più allargata, libertà nella vita culturale, uguaglianza nella sfera del diritto, solidarietà in quella economica. Queste sono mete che non nascono dalla paura, ma dal coraggio di credere a una vita sociale davvero diversa, non una litania, al massimo un ostinato credere alla fraternità tra gli esseri umani. Se oggi appaiono antichi e fuori moda questi ideali e moderne le rivendicazioni territoriali, vi ricordo che siamo ormai oltre il postmoderno, in una “terra di nessuno” dice qualche critico, e se fosse proprio questo “di nessuno” che dovrebbe farci meditare?

  2. Grazie Riccardo, è un onore essere “un link consigliato” da te.
    Piccole considerazioni…
    per me, “autodeterminazione” non significa far diventare la propria culla il mondo, significa riconoscere la differenza, e il limite che essa comporta. E’ impensabile esprimere un giudizio con cognizione di causa su tutto. In genere possiamo esprimere il nostro sensato parere su ciò che conosciamo, ed è la profondità di questa conoscenza la garanzia di esercitare un diritto nella piena libertà. Io sono libero nel momento in cui posso scegliere ponderatamente.
    Il corpo della donna è una differenza rispetto alla società, lo Stato, la religione, il bambino…, e pertanto è un limite invalicabile che solo lei ha il diritto di gestire. Noi, abitanti delle terre di confine, costituiamo una differenza? Se sì, rispetto a chi? Abbiamo questa consapevolezza?

    La differenza non segna confini, apre al rispetto dell’Altro. Purtroppo, a livello territoriale, è stato un concetto monopolizzato dalla destra, dalle destre, e allontanato come la lebbra dalle sinistre. Me ne domando il motivo. Non vedo nessun pericolo di istituire nuove barriere, anzi, credo sia il passo fondamentale per traghettarci nella globalizzazione, forti della nostra differenza sapremo riconoscerla agli altri.
    Vorrei passare dalla “terra di nessuno” alla terra di tutti, ma per farlo “tutti” devono essere “soggetti” unici e consapevoli, liberi e autodeterminati.

  3. Riccardo, invitare a riflettere sull’autodeterminazione di ogni singolo individuo, secondo me, è invitare a non riflettere sull’autodeterminazione. È dire: voi (chi parla di autodeterminazione riferita a questo territorio) dite solo cazzate. Per carita, è una posizione legittima. Ma o la si motiva bene (intervenendo, come hai fatto, e come spero continuerai a fare, in tutti gli spazi pubblici nei quali se ne dibatte), oppure diventa solo una reazione da cane di Pavlov. Come quelle alle quali abbiamo assistito in questi giorni (Florian, Foppa, Tommasini…).

  4. @forsenonstroppobene dici: Vorrei passare dalla “terra di nessuno” alla terra di tutti, ma per farlo “tutti” devono essere “soggetti” unici e consapevoli, liberi e autodeterminati.
    Sono d’accordissimo con te (complimenti per il tuo blog), ma con me apri una porta spalancata per ciò che riguarda l’autodeterminazione degli individui, da decenni nei miei rari interventi ne parlo. Ultimamente più frequentemente nel sito di riki, prova a vedere i miei contributi passati nel suo blog, mi ripeterò in breve.
    . il superamento del concetto nazionalistico è l’autodeterminazione dell’individuo, che crea l’uomo libero, non l’autodeterminazione del popolo, e l’autodeterminazione dell’individuo può avvenire nella sfera culturale , in quella del diritto dobbiamo essere tutti uguali, nel momento in cui in quella culturale vige la piena libertà, di espressione, di istruzione, nel momento in cui l’uomo può determinarsi liberamente nella sfera culturale (etico, spirituale, sessuale) allora è libero anche il popolo, il contrario è un concetto astratto perchè gli uomini possono essere liberi solo individualmente. nei diritti, davanti alla legge, come massa dovrebbero essere uguali non liberi! E lo Stato o l’ Organismo che lo rappresenta dovrebbe garantire questa ugaglianza (nel diritto) a prescindere dalle appartenenze. Ma questo concetto non abbisogna di nuovi confini, ma di nuovi menschen. E’ bello poter dire menschen che ha in se donna e uomo senza doverlo sempre specificare.
    Condivido con gadilu, bisogna argomentare senza creare tabù o censure, scherziamo?

  5. Ovvio che la questione dell’autodeterminazione individuale è solo una parte della questione, ma serve per “aprire” questo concetto dalla interpretazione monolitica che ne dà la destra tedesca.
    Sull’aspetto “collettivo”, invece, l’argomento dirimente per me è che l’Onu riconosce il diritto a chiedere l’autodeterminazione intesa come referendum sulla secessione solo a quei territori sottoposti a dittature, occupazioni militari o a oppressioni tali che rendono impossibile alla popolazione autoctona lo sviluppo delle proprie caratteristiche sociali, culturali e linguistiche. Ma vi pare il caso del Sudtirolo? Via, non scherziamo.

    ADESSO PERO’ ATTENZIONE: dico un’altra cosa che mi sta a cuore. Col passare dei giorni tutto questo dibattito sui media e sui blog mi appare sempre di più come un dibattito “sporco”.
    Nel senso: non mi sono mai sentito più strumentalizzato, equivocato, usato, distorto come questa volta.
    Alcuni organi di stampa pompano la cosa in modo assai sospetto e non – povero Gabriele non farti illusioni – perché colpiti sulla via di Damasco dalle argomentazioni di voi della piattaforma BBD, ma per altri scopi che non capisco. Il resto dei media porta avanti stancamente la cosa per inerzia, senza nemmeno loro capire dove vogliono andare a parare. Il tutto PUZZA ASSAI.

    Insomma: in questa discussione sull’autodeterminazione ho la maledetta sensazione di essere totalmente etero-determinato.
    Di lavorare per un re di Prussia. Il problema: confesso di non riuscire a capire chi sia questo re di Prussia e che obbiettivi abbia.
    Dunque in questo, almeno in questo, Florian ha ragione.

  6. @Graziano:
    Grazie per i complimenti, è un blog personale senza pretese. Confronto ai vostri interventi mi sento piccola piccola.
    No, non stiamo scherzando, assolutamente. Quello che dici è vero e importantissimo. Sottoscrivo pienamente. Ma permettimi di portare la mia esperienza, per quella che vale. Hai ragione, la libertà di un popolo (si usa ancora questa espressione?) è direttamente proporzionale alla libertà dei singoli, ma non credo che si possa concepire il singolo a prescindere dalle appartenenze.
    A livello giuridico la tua posizione è imprescindibile. Non cambierei una virgola di quello che affermi. Ma a livello culturale io mi sento molto influenzata dalla mia appartenenza, e non mi sento libera in un mondo che non è in grado di capire i miei valori e i miei criteri etici.
    Parlo da “italiana” trentina. Ebbene, parlo l’italiano, ma questo non basta. Non riesco ad aderire alla prospettiva etica offerta dal mio Paese, o meglio, dai miei concittadini. Non so analizzare per filo e per segno le cause, ma constato “una differenza”. E so che se questa differenza non viene esplicitata e difesa si dà adito a fraintendimenti e malintesi. Si ostacola la comunicazione. “Noi” non sappiamo “raccontare” agli altri la nostra specificità, gli “altri” non solo non sanno capirla ma non la sospettano neppure, attribuendoci abitudini e compotamenti che non possediamo ma che vengono “interpretati” da chi ha un senso di appartenenza forte alle spalle e non sa vedere, appunto, questa “differenza”.
    Per questo vorrei difendere il diritto all’autodeterminazione. Forse a voi sembrerà scontato, perché ne siete immersi. Ma avete un grado di partecipazione attiva alla vita civile, sociale e politica degna delle migliori democrazie. E questo perché ognuno di voi “sente” un forte senso di appartenenza al territorio. Questa autodeterminazione non mi sembra negativa, anzi mi pare il presupposto per creare nuovi menschen, come dici tu (anche se le femministe austriache non sarebbero molto d’accordo). “Questa” autodeterminazione ha senso perché siete voi a costituirla e a darle sostanza. Questo alto senso civico, a mio modesto parere, è la vostra peculiarità, che dovete difendere con i denti, perché è un valore per tutti.
    “Questa” autodeterminazione è l’antidoto a tutte le chiusure.

    Non so argomentare come chiedi, me ne scuso. Parlo “a distanza”. Ma spero che questa distanza possa contribuire alla consapevolezza della specificità di cui avete il potere di prendervi cura.

    Con Stima,
    Barbara.

  7. É probabile Riccardo. Ma possibile che con l’esperienza che abbiamo/avete alle spalle (come Verdi) non riusciamo a veicolare una discussione simile e dobbiamo temere il Re di Prussia? Non siamo (o eravamo?) l’avanguardia del dibattito pubblico sudtirolese? Con le risposte ad ogni domanda “aperta” della questione sudtirolese? Perdona lo sfogo ma con una punta d’orgoglio, mi chiedo il perché si oscilli in modo tanto imbarazzante su questo tema, tra aperture e stop, prudenza, timori di farsi strumentalizzare (un alibi troppo facile). Non riusciamo a reagire? Bene. È un segnale d’allarme. Vuol dire che non abbiamo argomenti a sostegno della nostra opposizione tout court. Prendiamone atto, loschi disegni a parte. L’autodeterminazione mette in difficoltà i Verdi. Punto.

  8. Un’altra cosa, Riccardo: io credo che qui ci troviamo di fronte ad un enorme equivoco terminologico. Selbstbestimmmung (che tu intendi come equivalente al “referendum”) forse è la definizione meno adatta per indicare l’idea che negli anni ha mosso per es. BBD. Esprimersi a sinonimi (autodeterminazione delle donne) è un modo per eludere il problema. Il termine “autodeterminazione” è occupato da altri e parlarne significa essere associati alle destre teteske nostrane; un gran bel problema.

  9. No guarda, Valentino, a me l’autodeterminazione non mi mette affatto in difficoltà. La mia posizione è quella che puoi leggere in questo post, all’inizio, punto e basta. La discussione delle ultime settimane mi è servita per chiarirmi le idee, arricchirle, ma se vedi quello che dissi sia a Lana dagli Schuetzen, sia a Bressanone alla Cusanus, il filo rosso è rimasto uguale.

    Le oscillazioni invece sono quando ti intervistano sui media e la ragione è semplice: quando ti intervistano per mezz’ora e poi riassumono in due righe, tu non parli più con la tua voce ma con quella del giornalista, che ti fa dire quello che a lui serve per reggere in piedi un articolo che magari altrimenti non reggerebbe. Nopn dice balle, magari quelle parole le hai dette, ma decontestualizzate diventano un’altra cosa. Il meccanismo è noto.

    Così, a seconda dei giorni e di chi ti intervista, una volta diventi pro, una contro qualcosa. Ma questo accade soprattutto quando i dibattiti sono – appunto – sporchi: cioè quando si discute apparentemente di una cosa, ma in realtà lo scopo è un’altro e non è trasparente.
    E questa sensazione io ce l’ho, in questa bombetta a scoppio ritardato (tieni conto che alla Cusanus, ti ricordi, siamo andati oltre un mese fa. Che i BBDdini sono attivi da anni. Ma solo ora…) Non avrà il tutto a che vedere con la crisi Svp e il tentativo di alcuni (Zeller in testa) di uscirne rovesciando semplicemente il tavolo? E a questo fine usando tutto il materiale possibile per “gonfiare” un tema che invece è piuttosto flaccido e stantio? Ho la vaga impressione di una trappola, in cui – garzie anche a un comunicato dei giovani verdi che io non condivido affatto, perché parlava di autotederminazione come referendum sull’indipendenza, cosa che io detesto – siamo caduti.
    Una trappola in cui, scrivendo di volerci salvare, persone come Florian (per amicizia) e Visentini (per inimicizia) hanno contribuito a spingerci.

  10. Riccardo, sono largamente d’accordo con te. Solo in una cosa sono assolutamente in DISACCORDO. Io non mi faccio NESSUNA illusione. PROPRIO NESSUNA.

  11. QUI QUALCOSA PUZZA, PARTE SECONDA.

    Ma dico, avete visto come i due giornali “alternativi” in lingua tedesca cercano disperatamente di gonfiare il palloncino?
    La Tageszeitung, dopo Theiner, intervista ieri Widmann, l’assessore che possiede una bellissima azienda agricola nella mia Toscana, vicino Bolgheri, vive in cuor suo per quella e del resto gliene frega un cazzo, a parte il piacere del potere. Arthur Oberhofer lo incalza: ma allora sei per la Selbst-eccetera? E lui evidentemente gliene frega nulla, manco sa cos’è, ma: “sì, più autonomia, più Selbstqualcosa, ma non bestimmung, insomma…”, poi gli scappa l’esempio Baviera e quello diventa il titolo che puzza di secessione rivoluzionaria.

    La FF intervista addirittura il vecchio prof Peter Pernthaler, reparto museo delle cere, e quello “findet die von ff entfachte Diskussion höchst an der Zeit” e come diventa il titolo? “Es ist an der Zeit”, che vuole occhieggiare al “Mander isch Zeit” di Hofer, ma è totalmente fuori posto. Tutto fa brodazza, pure l’ennesimo Kossiga in posa da “Befürworter”.

    L’Alto Adige di ieri riprende per riprendere, nulla di nuovo, anzi molto d’antico.

    In sintesi: dibattito totalmente dopato, tenuto su a fatica, anche il buon Theiner non dice nulla che qualsiasi politico/a Svp non abbia sempre detto quando gli chiedevano della Selbst-qualcosa… Sì, come si fa ad essere contro? Mica siamo per la Fremd-qualcos’altro! E poi l’abbiamo chiesta fin dal 1945!

    Vedrete che tra qualche giorno un giornale farà la grande rivelazione e la sparerà in prima pagina a caratteri cubitali:
    “SCOPERTA LA SELBSTBESTIMMUNG NELLO STATUTO DELLA SVP!”
    Sottotitoli: “ROS in azione, Stava nascosta nel comma 53. Sorpresa a Roma, in allarme i servizi segreti”.
    Box con fotine affogati nel testo a metà pagina:
    Frattini: “L’ho sempre sospettato”.
    Biancofiore: “La Svp è un’associazione sovversiva”.
    Tommasini: “Si, ma, però. Comunque i Verdi son coglioni”.
    Dello Sbarba: “Mea culpa!”.

    Buona notte.

  12. Da questi discorsi, e soprattutto da quelli che non ci sono, capisco che le destre tedescofone hanno una posizione solo, antiitaliana sempre (che traducono in antifascista) e del resto non importa loro nulla. Mi spiace Riccardo, è stato un buco nell’acqua…forse quando sarà passata la prossima tempesta se ne riparlerà.

  13. No, più che un buco nell’acqua, un secchio d’acqua in una vasca altrui.
    Visto a cosa serve tutto questo chiacchiericcio sul Selbst… (non posso più pronunciare la parola senza nausea) eccetera?
    A segnare gli schieramenti nello scontro dentro la Svp su un terreno finto, una simulazione, uno specchio. Per potersi contare senza far venir fuori i veri interessi che stanno dietro ai diversi candidati ad Obmann, e le loro vere intenzioni politiche.

  14. oh, dello sbarba, non è che ci volesse tutta ‘sta ‘ntelligenza per capire che la sceneggiata sulla selbstafava serviva a cominciare a regolar qualche conto sul totopostdurnwalder! infatti gli altoatesini l’han “cagata” meno di zero per quello, non perchè sono “intordonuti”! eppoi, non si parla ormai da parecchi mesi del fatto che l’ff, che per primo ha fatto suonar la selbstgrancassa, sarà la prossima preda del gruppo athesia/ebner?

  15. Caro Dello Sbarba
    io l’altra sera a Merano sono venuto ad ascoltarla (sono stato quello che ha apprezzato il suo accento toscano) e il suo discorso mi è piaciuto molto. Mi permetto però un breve commento sulla serata.
    Innanzitutto ho rilevato che il pubblico era per la maggioranza di lingua tedesca e per la maggioranza visceralmente contrario alla Selbstbestimmung; generalmente in nome della pacifica convivenza. Questa posizione a prima vista sembra positiva.
    Ma ben guardare noi italiani non ci facciamo affatto una bella figura: pare infatti che una parte del mondo tedesco si sia resa conto che la convivenza con noi significhi sostanzialmente adattarsi. E’ normale che ogni situazione di compresenza di culture comporti degli adattamenti. Però, a me, questo è parso un concetto sotteso a tutta la discussione.
    Tutti hanno riconosciuto il valore della convivenza, ma nessuno lo ha riconosciuto come valore in se. E’ un valore che dovrebbe essere indipendente dalle scelte politiche. Viviamo assieme in pace perchè siamo uguali e siamo nati nella stessa terra, non solo finchè siamo in Italia.
    Il fatto che molti sudtirolesi (come si è visto dagli interventi), che vivono come minoranza nello stato Italiano, riconoscano che qualsiasi cambiamento della situazione si ripercuoterebbe sulle relazioni interetniche, significa che, implicitamente, si rendono conto che NOI non saremo in grado di vivere in una situazione come la loro, ma per benevolenza ci scusano.
    A parte il portare avanti l’eredità storica di un partito alternativo sudtirolese, come i Verdi, che è stato tradizionalmente avverso alle rivendicazioni etniche io non vedo motivo di pronunciarsi contro il Referendum. Oggi bisognerebbe, semmai insistere per sottrarre il tema al monopolio tedesco, come lei sta facendo, perchè se un nuovo stato dovesse mai esserci, non deve ripercorrere gli errori dell’autonomia e, soprattutto, finalmente, non dev’essere su base etnica.
    A me pare che rinunciare alla libertà di scelta per non compromettere la convivenza sia in un certo modo cedere al ricatto di Seppi e dei suoi esaltati, che hanno dimostrato in mille modi che faranno le barricate; e si butteranno in lacrime in mezzo alla strada e faranno schiamazzi.
    Ma io mi chiedo, che valore ha una convivenza così piena di condizioni? Che figura ci facciamo noi come gruppo (anche se io per la verità non mi sento appartenete a nessuno dei due gruppi, ma a tutti e due)? Viviamo in pace SE si rinuncia alla Selbstbestimmung, SE gli Schuetzen rinunciano a marciare e magari anche alle armi storiche, SE non ci toccano i monumenti fascisti, SE toglieranno il cartellone al Brennero, SE rinunciano all’inno di Andreas Hofer, SE non esternano sentimenti di appartenenza diversi dai nostri e, purtroppo, spesso, anche SE non parlano in tedesco o comunque non in dialetto. Siamo veramente meritevoli di tutta questa benevolenza? Io, peraltro, credo che lei si sia meritato la stima di cui ora giustamente gode, oltre che per la sua simpatia e la sua ottima conoscenza delle lingue, anche perchè per convivere con lei non occorre rinunciare a molto.
    Poi invece ci sono quelli come Campostrini che, dall’alto del loro sorriso sornione e delle loro scarpe griffate, parlano filantropicamente di evitare le fratture, di smorzare i toni e di non acuire gli scontri. Ma poi quasi ogni giorno si legge sull’ AltoAdige un articolo sull’ultima “provocazione” degli Schuetzen del tipo:”Stamattina il capo degli Schuetzen si è lavato i denti e ha preparato il caffè: azione di inaccettabile odio anti-italiano, razzista, nazista, terrorista… segue a pagina 12,13,14,15, 20″
    Io adesso non so se realmente l’indipendenza, il Freistaat sia meglio o peggio dell’autonomia dinamica. Nessuno ha fatto ancora seri ed attendibili studi di fattibilità e nessuno può prevedere il futuro. Quello che è certo è che così non basta: non è accettabile che un paio di Ministri giù a Roma d’accordo col Questore e con gruppi neofascisti mostrino quanto arbitrio è loro ancora possibile in questa terra. Per questo io Sabato ero con gli Schuetzen del mio paese a marciare contro il fascismo e per la libertà di espressione. E di me non si potrà mai dire nè che odio gli italiani, nè che sono un antifascista di facciata.

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