Freistaat und Panzer

“MA SE FACCIAMO LA SELBSTBESTIMMUNG, POI BERLUSCONI CI MANDA I PANZER?”. A QUEL PUNTO HO CERCATO DI BUTTARLA IN BATTUTA: “BEH, BISOGNA VEDERE SE HA LA BENZINA…”.

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MOLTI HANNO SORRISO, MA  LA DOMANDA ERA SERIA. ERAVAMO  ALLA CUSANUS AKADEMIE DI BRESSANONE, ERA MARTEDÌ 17 FEBBRAIO E IL CONVEGNO SI INTITOLAVA “DIE VISION FREISTAAT”. SUL PODIO IO PER I VERDI (E UNICO ITALIANO), EVA KLOTZ, PIUS LEITNER E MARTHA STOCKER.

Eppure Günther Pallaver, che aveva introdotto, aveva invitato tutti alla prudenza. Se autodeterminazione significa secessione, aveva avvertito, allora sappiate che un diritto alla secessione dalle norme internazionali non è riconosciuto. A meno che non ci sia consenso di tutte le parti in gioco e allora si può fare quel che si vuole (vedi Cechia e Slovacchia).

Poi aveva invitato a distinguere: tra autodeterminazione esterna (cioè la secessione) e autodeterminazione interna (cioè autonomia e autogoverno, tipo Freistaat Bayern). E tra visione nazionalistica della Selbstbestimmung (ristabilire una omogeneità etnico-nazionale dove non c’è, che equivale a un nazionalismo in piccolo che nel mondo centuplicherebbe gli stati esistenti) e una visione democratica della Selbstbestimmung (fondata sull’idea che ogni persona deve essere libera di decidere di se stessa, ma che presuppone la rinuncia alla violenza, l’accettazione delle diversità di lingua, cultura e religione e il riconoscimento di pari diritti a chiunque). Distinzione che a diverse persone (tutti maschi i numerosi intervenuti) non è piaciuta gran che.

La discussione infatti si è svolta partendo dal: “Facciamo finta che la Selbstbestimmung la facciamo davvero”, che succede dopo? Berlusconi manda i panzer? E degli italiani che ne facciamo? E qui tutti guardavano me.

Dunque, ho giocato a fare l’italiano. Dando dei consigli su come conquistare il consenso degli italiani del Sudtirolo all’idea di uno stato indipendente. Che potrebbe fare strada, ho detto subito, tra i tanti italiani che si sentono in esilio in questa Italia berlusconiana.

Il problema, ho spiegato, è di quale Freistaat si parla, come ve lo immaginate e come lo proponete. Inaccettabile, anche per gli italiani più disponibili, è qualsiasi visione di uno stato libero del Tirolo dei tempi andati, dove dominino una memoria, una identità, una cultura a senso unico. Insomma, questo “stato indipendente” non dovrebbe cancellare la storia del Novecento, ma metabolizzarla, contestualizzarla certo, ma in qualche modo farla propria (insieme alle tracce che ha lasciato) come storia comune, con con-passione per i dolori che ha portato e con-piacimento per i successi ottenuti nel cammino dell’autonomia. Va costruita quella reciproca fiducia che oggi non c’è e che sola può rassicurare il mondo italiano che chi parla di Selbstbestimmung lo fa avendo a cuore tutte le persone di questa terra e non invece perché sta mettendo fuori l’avviso di sfratto per gli ultimi arrivati.

Per questo, ho detto, la “Vision Freistaat” dovrebbe contenere:

  • 1. L’idea di una regione europea aperta e plurilingue di diverse culture, esperienze, storie tutte dotate di uguale dignità e diritti.
  • 2. La promessa dell’abolizione di ogni logica e misura di separazione etnica: un unico sistema scolastico plurilingue, la fine dei partiti etnici, il principio della cittadinanza universale e uguale.
  • 3. Il riconoscimento di un Heimatrecht uguale per tutte le persone che vivono sul territorio di questo “Stato libero”. Ciò vuol dire che la terra non appartiene a nessuno, ma a tutti (a Dio, dicevano i medioevali), che non ci sono primi arrivati e ultimi arrivati, che non ci sono proprietari e ospiti. Ciò vuol dire che ogni decisione politica su questa strada la prendono tutti e tutte, senza sbarramenti dovuti alla anzianità di residenza (Eva Klotz aveva sostenuto che secondo le norme internazionali in un referendum sulla Selbstbestimmung potranno votare le persone che hanno una residenza di 50, oppore ad essere generosi, di 30 anni in Sudtirolo!).
  • 4. Rinuncia alla violenza e alla glorificazione della violenza.
  • 5. Immediata cessazione di ogni provocazione. La strada per l’autodeterminazione, se questa vuol convincere gli italiani, non può passare per le marce e la richiesta di abbattere i monumenti, ma per il rispetto della storia e dell’esperienza di ciascuno, che va contestualizzata, resa testimonianza di una educazione alla democrazia, ma non rasa al suolo.

Ho detto insomma che andrebbe messo in moto un processo tutto diverso dall’attuale, un processo che crei calore e confidenza reciproca, tanto che ogni italiano/a possa e voglia dire “Ich bin ein Südtiroler und bin stolz darauf”, ma che anche ogni tedesco/a e ladino/a gli/le voglia e possa dire: „Ja, du bist ein Südtiroler und ich freue mich darüber”. Cose da cui, tra marce degli Schützen e corone militari, siamo oggi ben lontani. Quel che domina attualmente, mi sembra, è da un lato la nostalgia di un Tirolo storico com’era prima dell'”ingiusto confine” e dall’altro la difesa a riccio di ogni “attestato di esistenza in vita”, anche se questo ha l’aspetto arcigno dei fasci littori di Piacentini.

Insomma, per ora la discussione è dominata dai panzer. E finché sarà così, l’autonomia resta l’unica forma di “autodeterminazione” in cui tutti vincono e nessuno perde.

La discussione si è svolta tutta in tedesco. Pubblico qui sotto i punti che ho toccato nel mio primo intervento. Il resto è andato a braccio.

 

Die Vision Freistaat

 Brixen, Cusanus Akademie, 17.02.09, 19-22 Uhr

Beitrag vom  Riccardo Dello Sbarba 

Am Anfang, ein bisschen Humor. Wenn Berluconi so weitergeht, mit seinen rassistischen Gesetzen, bin ich auch für die Selbstbestimmung und für den Anschluss an Katalonien! Nun aber im Ernst…

Stichwort Freistaat Südtirol. Diese Vision wird als der konkrete Weg zur echten Selbstbestimmung vorgestellt. Als die Verwirklichung diejeniger Selbstbestimmung, die den Südtiroler nach den Ersten und wieder nach den Zweiten Weltkrieg verweigert wurde – zu Unrecht, ohne Zweifel.

Die Selbstbestimmung ist kein Tabu. Sie ist das Recht, sich selbst frei zu bestimmen, sein eigenes Leben frei zu gestalten. Sie ist ein Grundrecht jedes Menschen.

In Bezug auf den Fall Eluana Englaro ist in den letzten Wochen von Selbstbestimmung sehr viel gesprochen worden: über das Recht, medizinische Behandlungen selbst und frei wählen zu können.

Die Frauenbewegung hat von Anfang an auf Selbstbestimmung bestanden: Das Recht jeder Frau sich selbst frei zu bestimmen.

Die Selbstbestimmung ist mit dem Begriff Freiheit eng verbunden. Die Selbstbestimmung ist die höchste Form der Freiheit (Es gibt aber auch andere wichtige Begriffe, z.B. Brüderlichkeit).

Der Frei-Staat könnte also für eine Bevölkerung die höchste Form der Selbstbestimmung sein. Zumindest, im Neunzehnten Jahrhundert, dem Jahrhundert der Nationalstaaten. Nach der Doktrin des Nationalstaats, soll jedes Volk seinen Staat haben, seine Fahne, seine Sprache und leider auch sein Heer. Das Volk, das in einem „falschen” Staat sich befindet, soll alles unternehmen, um sich an den „richtigen” Staat anzuschließen, oder zumindest einen eigenen Mini-Staat zu gründen. Das sind die Konzepte der Ära der Nationalstaaten und die Diskussion zum Freistaat Südtirol ist in diese Konzepte eingebettet. Konzepte des Neunzehnten Jahrhunderts.

Heute aber, im Einundzwanzigsten Jahrhundert, nach allen Kriegen und Konflikten des Zwanzigsten Jahrhunderts und im Lauf des Versuchs, ein Vereinigtes Europa zu gründen, um eben neue Konflikte zu vermeiden – also, in diesem neuen europäischen Kontext ist die Sache ein bisschen komplizierter.

Ich möchte einige Punkte ansprechen.

Erster Punkt. Für wen ist die Selbstbestimmung tatsächlich eine Selbstbestimmung? Es könnte passieren, dass die Selbstbestimmung der einen, zur Fremdbestimmung der anderen wird.

Einfacher gesagt: es ist sehr wahrscheinlich, dass ein Freistaat Südtirol für hundertzehntausend (110.000) Italiener, also für ein Viertel der in Südtirol lebenden Frauen und Männer, für eine der drei Sprachgruppen unseres Landes, zur Fremdbestimmung wird.

In diesem Fall, hätten wir keinen Schritt nach vorne gemacht, nur die Situation hätte sich umgekehrt, die Machtverhältnisse hätten sich einfach umgekippt, die alte (Sprach-) Minderheit würde in diesem Freistaat zur neuen (Staat-) Mehrheit und die alte (Staat-) Mehrheit würde zur (Sprach-) Minderheit in einem als fremden empfundenen Staat. Und was passiert dann?

Die neue Minderheit wird ihren Kampf für Schutz und Rechte führen und die Geschichte fängt fast bei Null wieder an – mit noch unbekannten Folgen, weil die Geschichte wiederholt sich nie identisch.

Wir würden zwei Grenzen haben, eine in Salurn und eine am Brenner. Wir werden die Regeln des Zusammenlebens der Sprachgruppen neu definieren müssen, wir werden die Beziehungen zu Wien und zu Rom und zu Europa neu definieren müssen usw…

Wollen wir diesen Weg wirklich gehen? Wollen wir tatsächlich alles als eine vorübergehende Episode betrachten, was in Südtirol in diesen letzten 60 Jahren erreicht wurde, was in ganz Europa als Erfolgsgeschichte betrachten wird?

Wollen wir wirklich in diese Richtung unsere Kräfte investieren?

Es stimmt: Kosovo hat die Unabhängigkeit ausgerufen. Aber: will jemand Südtirol zu einem Kosovo machen? War es jemals in der Situation des Kosovo? Will jemand die Geschichte eines Kosovo durchmachen? Der Dalai Lama wünscht sich für sein Tibet nicht die Unabhängigkeit, sonder die Autonomie nach Südtiroler Modell. Und er will es in dieser Situation Tibets, die unvergleichbar schlechter ist als die in Südtirol.

In Südtirol haben sechzig Jahre Autonomie eine völlig neue Situation geschafft. Das Land genießt eine sehr breite Selbstverwaltung und die Sprachminderheit ist weitgehend Herr im eigenen Haus. Wollen wir tatsächlich diesen Erfolg aufs Spiel setzen?

Und so komme ich zum zweiten Punkt. Der Freistaat ist eine Form von Selbstbestimmung. Aber nicht die einzige! Ich halte die Autonomie auch für eine mögliche Form von Selbstbestimmung. Langsamer und weniger heroisch, vielleicht, aber dafür viel friedlicher. Die kämpferische Autonomie – und ich betone kämpferisch – eines Silvius Magnagos ist die Selbstbestimmung gewesen, die unter jenen Bedingungen möglich war. Unter der Voraussetzung, dass wir Frieden wollen, und nicht Gewalt.

Die Autonomie hat alle Voraussetzungen, um die politische Form unser aller Selbstbestimmung zu werden.

Die Autonomie ist die Form der Selbstbestimmung, in der alle gewinnen können. Sie ist eine win-win Lösung. Beim Freistaat, hingegen, gewinnt nur ein Teil, der andere verliert.

Denken wir über folgendes nach: wenn die Selbstbestimmung die Form der Freiheit ist, dann wird die Freiheit nicht unabhängig von den jeweiligen historischen und menschlichen Bedingungen ausgeübt. Die Freiheit stößt immer gegen bestimmte Grenzen und soll immer den Weg finden, um durch diese Grenzen, und trotz dieser Grenzen, sich irgendwie zu verwirklichen. Die Autonomie ist, nach langen Jahrzehnten des Unrechts, der friedliche Weg, den Südtirol in schwierigen Zeiten gefunden hat. Ich glaube, dies war die einzige und die beste Lösung.

Jetzt heißt es, diesen Weg fortzusetzen, in Richtung einer immer vollständigeren Autonomie nach innen und nach außen.

Volle Autonomie bedeutet:

  1. Mehr grenzüberschreitende Zusammenarbeit auf allen Ebenen.
  2. Progressive Ent-ethnisierung der internen Verhältnisse zwischen den Sprachgruppen. Je mehr Selbstverwaltung, desto mehr Integration, umso weniger Trennung.
  3. Entscheidende Demokratisierung der Autonomie und der politischen Landschaft Südtirols. Je mehr Macht beim Land, desto mehr politische Vielfalt, mehr Bürgerrechte, mehr direkte Demokratie, mehr Kontrolle, mehr Transparenz usw…

In diese drei Richtungen würde ich unsere Kräfte voll und ganz einsetzen. Das scheint mir die nachhaltigere Vision die wir verfolgen müssen. Nachhaltiger als die Vision Freistaat.

Dritter Punkt. Ich glaube schon, dass heute in Südtirol die Frage der Selbstbestimmung aktuell ist, aber auf einer anderen Ebene. Auf der Ebene der Verhältnisse zwischen BürgerInnen und Macht, zwischen Zivilgesellschaft und Politik. Hier haben wir sehr viel Nachholbedarf!

Wie autonom sind die BürgerInnen dieser ultra-autonomen Provinz Bozen? Wie autonom sind unsere Gemeinden, unsere Schulen, wie autonom und frei sind unsere Kultur, unsere Presse, unsere Öffentliche Meinung? Wer trifft die wichtigen Entscheidungen hier in Südtirol? Die BürgerInnen? Ihre gewählte Mandatare? Oder eine Machtkonzentration zwischen Medienmonopol, Lobbyisten und Teile der Politik?

Das Jahr 2009 ist das Hofer-Jahr, das unter einem großen Stichwort steht: Freiheit. Gut. Was heißt heute, Südtirol anno 2009, Freiheit? Ich denke, wir sollten in Mittelpunkt dieses Hofer-Jahres die Frage stellen: wie frei sind heute die Südtiroler? Sind sie unabhängig, oder abhängig? Und wovon sind sie abhängig? Nur von den bösen Rom und Brüssel? Oder, mehr oder weniger, auch von der Südtiroler Politik, von dem Südtiroler Lobbyismus, von der Südtiroler Machtkonzentration?   Und leiden nur die deutsch- und ladinischsprachigen Südtiroler unter dieser neuen Form von Abhängigkeit, oder auch ihre italienischsprachigen Mitbürger?

Die Abhängigkeit unserer Gesellschaft ist ein gemeinsames Problem und kann nur gemeinsam gelöst werden. Wenn wir uns von dieser Abhängigkeit nicht befreien, werden wir auch in einem Freistaat Südtirol abhängig bleiben.

Das System Südtirol demokratisieren; die Südtiroler BürgerInnen aller Sprachgruppen unabhängiger machen; eine echte Südtiroler Freiheit schaffen für alle BürgerInnen: das scheint mir unsere zentrale und aktuelle Aufgabe.

Zum Schluss möchte ich noch eine Überlegung hinzuführen. Mit ihrem Slogan „Südtirol ist nicht Italien” hat Frau Klotz Erfolg gehabt. Es war eine gelungene Provokation, die die Leute diskutieren hat lassen. Aber, Provokation beiseite, ich frage mich, wie lange werden wir Südtirol für das definieren, was es NICHT ist. Südtirol ist nicht Italien, zugegeben.

Aber interessanter wäre es zu wissen, was Südtirol eigentlich ist. Und zwar das Südtirol von heute, nach all dieser Geschichte des Zwanzigsten Jahrhunderts. Ich versuche, einige Merkmale festzustellen:

  1. Mehrsprachigkeit und Vielfalt an Kulturen; Gewohnheit, mit anderen friedlich zusammenzuleben.
  2. Autonomie und Selbstverwaltung.
  3. Landschaft und Natur.

Diese drei Eigenschaften sind eng miteinander verbunden. Sie immer mehr zu vertiefen, zu pflegen, zu entwickeln, an die neue Herausforderungen anzupassen, sie kreativ und innovativ ständig neu zu gestalten, halte ich als eine moderne Form von Südtiroler Patriotismus.

55 pensieri riguardo “Freistaat und Panzer

  1. Riccardo, praticamente hai esposto il programma di BBD (Brennerbasisdemokratie). Un po’ in ritardo, comunque… complimenti.

  2. condivido quanto affermi. giá non ne posso più delle balle su a. hofer, e siamo appena a febbraio. forse con la crisi che ci sarà avremo l’occasione di occuparci anche di altro.

  3. Bravo Riccardo, non mollare mai. Mi sono trovato anch’io, più volte, in questo ruolo di unico “italiano” presente a discussioni su temi etnici o comunque sudtirolesi. Non molliamo.

  4. auch wenn professor pallavers vortrag offensichtlich den ausbau der autonomie zu einer selbstbestimmteren verwaltung innerhalb der heutigen grenzen italiens zu favorisieren scheint, bleibt der fakt, dass südtirol auch in zukunft stark von der teilweise anachronistischen und oft mittelalterlich anmutenden gesetzgebung beeinflusst bleibt. die zweifelhafte “kunst” der anlassgesetzgebung hat unter berlusconi nicht ab-, sondern zugenommen. siehe englaro, siehe stupri, siehe lampedusa.
    ich denke, wenn alle – aber wirklich alle – südtirolerinnen LUST haben, etwas neues zu wagen und sich von diesem – gelinde gesagt – merkwürdig funktionierenden staate friedlich loszusagen, dann ist das ein prozess der erstens in europa nicht neu ist und zweitens durchaus die chance auf eine verbesserung der allgemeinen lebenslage der bewohnerinnen dieses schönen landstriches bewirken kann.
    es ist dabei immanent, dass keine der ansässigen bevölkerungesgruppen übergangen werden darf. es gibt ja die schönen sprachgruppenzugehörigkeitserklärungen, die in diesem falle als technische hilfe herangezogen werden könnten, um einen bestätigenden abstimmungsprozentsatz jenseits der 66 % für jeder der sprachgruppen garantieren zu können.
    wie dello sbarba in seiner replik auf pallaver sagt, müssen aber die italienischen südtirolerinnen all das zugestanden bekommen, was ihnen gut tut und was ihr heimatgefühl – das ja auch heute schon da ist – verstärkt.
    märsche und ähnliches sind da natürlich tabu und absolut kontraproduktiv!

  5. Meine Hochachtung Riccardo Dello Sbarba, der Auftritt in Brixen war sehr positiv, jeder Bonmot und jede Pointe waren erheiternd und zuweilen auch scharfsinnig.
    Sie vermochten es vor ein Publikum aus nahezu uneingeschränkt Schützen und Gleichgesinnten zu sprechen und haben jedes Mal, man möchte fast sagen, tosenden Beifall erhalten.
    Aber jemand, der erkennt und im Rahmen der Diskussionsrunde treffend anmerkte, dass es noch eine Form der Selbstbestimmung gebe, „das Recht, sich selbst frei zu bestimmen, sein eigenes Leben frei zu gestalten“, kurzum: die Erkenntnis dass der Mensch sich als humanes Wesen, also der Mensch qua Mensch, frei von ökonomischen Zwängen und den Käfigen von Identitäten verwirklichen soll und muss, der muss doch auch willens sein, es zumindest zu verstehen, dass der Wunsch einiger Südtiroler nach Selbstbestimmung im historischen Kontext legitim und richtig ist.
    Die Idee der Selbstbestimmung widerspricht nicht dem Gedanken an einen selbstbestimmten, selbstverwirklichten Menschen.
    Die gegenwärtige Situation darf aber nicht einfach abstrahiert, um ihre historischen Hintergründe beraubt werden, dies würde die Problematik in ihrem Wesen verkürzen und vereinfachen. Vielmehr kann die leidvolle Geschichte Südtirols doch das identitätsstiftende Moment sein, die Fehler der Vergangenheit nicht zu wiederholen und gemeinsam, nicht als Deutsche, Italiener und Ladiner, sondern alle zusammen subsumiert als all jene, unabhängig ihrer Kultur und Herkunft, die sich als Südtiroler verstehen, den Weg der Selbstbestimmung gemeinsam zu gehen.
    Alexander Langer schrieb einmal in seinen zehn Punkten für das Zusammenleben: „… Gewährleistung der Erhaltung der Eigenart, einerseits, und echte Gleichberechtigung und Partizipation andererseits, gehören zusammen und ergänzen sich gegenseitig.“ Das Zusammenleben, aber auch der Erhalt der Vielfalt durch Schutz der je eigenen Kultur und Sprache ist die Basis.

  6. E’ facile fare i conti senza l’oste…se autodeterminazione vorrà dire autonomia fiscale ed economica in genere, con rinuncia ad aiuti da parte dello stato centrale, senz’altro ci sarà l’appoggio delle regioni contermini alle quali dovrà essere data contemporaneamente la stessa possibilità; diversamente saranno proprio queste regioni che apriranno immediatamente la fase della propria autodeterminazione, e forse questo lo stato centrale non potrebbe accettarlo.. ,, ha avuto paura del famoso tanko di carta!! ricordate ? E questa sarebbe seriamente una secessione.
    Io penso che ci voglia equilibrio e che questo equilibrismo possa durare ancora poco….è interesse di tutti mantenere unito il paese, mai come nei prossimi anni l’Altoadige avrà bisogno del resto del paese, che ne sorregga il turismo e l’economia,per non parlare di altre cose note.
    Possibile che siano sempre di più coloro che vogliono uscire dalla realtà, e che solo i verdi in Altoadige vogliano continuare con la convivenza, portandola finalmente alla pratica realizzazione ? (vedi scuole pubbliche).

  7. Gratulationen Herr Dello Sbarba und willkommen im bbd Netzwerk.
    Hier einige Kommentare zum Beitrag von Dello Sbarba, wobei ich vorausschicken möchte, dass ich ein Verfechter der Freistaat-Idee im Sinne von bbd bin. Warum?
    a) da ich kein Südtirol bzw. Tirol haben möchte, das nach rückwärts blickt und die Geschichte restauriert. Die Freitstaat Idee im bbd Sinne respektiert die Geschichte, die aus Südtirol das geschaffen hat, was es heute ist. Darauf baut bbd die Vision eines völlig unabhängigen Südtirol auf. Dieses Südtirol blickt in die Zukunft und baut auf Konsens aller drei Volksgruppen auf – eine Interessensgemeinschaft, keine Nation im Sinne des 19 Jh.
    b) da ich vom Staat Italien mehr als genug habe. Ich wurde nie gefragt, ob ich Teil dieses Staates sein möchte. Unabhängig davon ist die performance Italiens derzeit katastrophal und die Entwicklung wird eher schlechter denn besser. Wenn wir in Zukunft tatsächlich zu den führenden Regionen Europas aufschließen wollen (damit meine ich keineswegs nur den Vergleich einiger wirtschaftlicher Eckdaten, sondern auch Demografie, Gesellschaft, Bildung, Kultur, Demokratie usw.) dann wird Italien immer eine Hemmschuh für uns sein und bleiben.

    Zum Beitrag:
    “Für wen ist die Selbstbestimmung tatsächlich eine Selbstbestimmung? Es könnte passieren, dass die Selbstbestimmung der einen, zur Fremdbestimmung der anderen wird.
    Einfacher gesagt: es ist sehr wahrscheinlich, dass ein Freistaat Südtirol für hundertzehntausend (110.000) Italiener, also für ein Viertel der in Südtirol lebenden Frauen und Männer, für eine der drei Sprachgruppen unseres Landes, zur Fremdbestimmung wird.”

    Das ist einer der wesentlichen Punkte. Ein Freistaat Südtirol muss eine gemeinsame Identität schaffen. Wenn dies nicht gelingt, dann wird es auch zu keinem Freitstaat kommen.
    Die Voraussetzungen hierfür sind gar nicht so schlecht. Eine Umfrage von apollis hat selbst bei den italienischen SüdtirolerInnen erstaunlich hohe Sympathiewerte für diese Idee festgestellt. Und dies, obwohl nie jemand ein Freitstaat Projekt vorgelegt, das alle drei Sprachgruppen anspricht.
    Dies ist das größte Versagen von Parteien, wie SF und F, die sich darüber kaum Gedanken machen. Aber auch die Grünen machen in diese Richtung reichlich wenig. Warum beispielsweise kein Engagement in Richtung Sportautonomie. Für die Grünen ist dies wohl wieder ein Rückfall in das 19 Jh, aber die europäische Sportnation scheint mir auch noch nicht geboren zu sein. Also liebe Grünen, ich erwarte mir von euch ein glaubwürdiges Engagement beim Ausbau unserer Autonomie, vor allem hinsichtlich der Schaffung von mehr gemeinsamer Südtiroler Identität.

    “Wir würden zwei Grenzen haben, eine in Salurn und eine am Brenner. Wir werden die Regeln des Zusammenlebens der Sprachgruppen neu definieren müssen, wir werden die Beziehungen zu Wien und zu Rom und zu Europa neu definieren müssen usw…
    Wollen wir diesen Weg wirklich gehen? Wollen wir tatsächlich alles als eine vorübergehende Episode betrachten, was in Südtirol in diesen letzten 60 Jahren erreicht wurde, was in ganz Europa als Erfolgsgeschichte betrachten wird?”

    Es ist richtig, wir müßten sehr viel neu defninieren müssen. Die wesentlichen Rahmenbedingungen des Zusammenlebens müßten in die Südtiroler Verfassung gegossen werden, die die internen Beziehungen regeln muss, wie auch die Beziehungen Südtirols zu Europa und den Nachbarländern Österreich und Italien.
    Die letzten 60 Jahre werden nicht als Episode betrachtet sondern als die notwendige Voraussetzung um überhaupt einen Schritt weiter gehen zu können.
    Als Erfolgsgeschichte wird Südtirol auch deshalb immer verkauft, da es international leider immer noch die Regel ist, dass Minderheiten überrollt werden. Und diesbezüglich schneiden wir in der Tat gut ab. Dies ist kein Grund sich auf den Lorbeeren auszuruhen. Unsere Autonomie ist in wesentlichen Bereichen unvollständig und sie hat ein friedlliches Nebeneinander der Sprachgruppen erreicht, nicht ein friedliches Miteinander. Dieser Punkt wird erst durch die Änderung des institutionellen Rahmens Südtirols nachhaltig verbessert werden können.

    “Kosovo hat die Unabhängigkeit ausgerufen. Aber: will jemand Südtirol zu einem Kosovo machen? War es jemals in der Situation des Kosovo? Will jemand die Geschichte eines Kosovo durchmachen? Der Dalai Lama wünscht sich für sein Tibet nicht die Unabhängigkeit, sonder die Autonomie nach Südtiroler Modell. Und er will es in dieser Situation Tibets, die unvergleichbar schlechter ist als die in Südtirol.”

    Es scheint immer wieder ein Lieblingsvergleich von Dello Sbarba zu sein, Südtirol mit dem Kosovo zu vergleichen. Kosovo ist nur ein Beispiel dafür, dass das internationale Recht sehr dehnbar ist, ansonsten läßt sich vom Kosovo nichts auf Südtirol beziehen. Wirtschaftlich und gesellschaftlich spielen wir ja in einer völlig anderen Liga. Deshalb wären die Voraussetzungen für eine völlige Selbstverwaltung auch weit günstiger.
    Natürlich würde sich der Dalai Lama für Tibet die Südtirol Autonomie wünschen. Dies würde das kulturelle Überleben der Tibeter auch garantieren. Wenn der gute Dalai Lama aber völlig freie Hand hätte, würde er sich ein unabhängiges Tibet wünschen. Er ist halt Realist und weiß das dies mit der zukünftigen Weltmacht China nicht einmal ansatzweise zu machen ist. De facto wird er für Tibet nicht einmal eine Autonomie erhalten. Tibet wird leider das Schicksal der Indianer in Nordamerika erleiden. Dies sage ich nicht so leichtfertig, sondern als alter Tibet Aktivist (war 1997 Projektleider der Tibetwoche in Bruneck, organisiert vom UFO Bruneck) und habe das Land zweimal intensiv bereist. Traurig, was dort abläuft.

    “Volle Autonomie bedeutet:

    1. Mehr grenzüberschreitende Zusammenarbeit auf allen Ebenen.
    2. Progressive Ent-ethnisierung der internen Verhältnisse zwischen den Sprachgruppen. Je mehr Selbstverwaltung, desto mehr Integration, umso weniger Trennung.
    3. Entscheidende Demokratisierung der Autonomie und der politischen Landschaft Südtirols. Je mehr Macht beim Land, desto mehr politische Vielfalt, mehr Bürgerrechte, mehr direkte Demokratie, mehr Kontrolle, mehr Transparenz usw…

    In diese drei Richtungen würde ich unsere Kräfte voll und ganz einsetzen. Das scheint mir die nachhaltigere Vision die wir verfolgen müssen. Nachhaltiger als die Vision Freistaat.”

    Ich stimme allen drei Punkten voll zu habe aber die Vision diese Punkte in einer zukünftigen Verfassung eines unabhängigen Südtirols am besten einbetten zu können. Würde darüber aber mal ganz gerne mit Dello Sbarba einen Gedankenaustausch pflegen.

    Zu Punkt 1). Die grenzüberschreitende Zusammenarbeit auf allen Ebenen ist leider bisher nicht mehr als ein Platzhalter für Sonntagsreden geblieben. Interessant, dass sie von den Grünen just in dem Moment entdeckt wird, als die Selbstbestimmungdiskussion in Südtirol wieder intensiver geführt wird.

    “Das Jahr 2009 ist das Hofer-Jahr, das unter einem großen Stichwort steht: Freiheit. Gut. Was heißt heute, Südtirol anno 2009, Freiheit? Ich denke, wir sollten in Mittelpunkt dieses Hofer-Jahres die Frage stellen: wie frei sind heute die Südtiroler? Sind sie unabhängig, oder abhängig? Und wovon sind sie abhängig? Nur von den bösen Rom und Brüssel? Oder, mehr oder weniger, auch von der Südtiroler Politik, von dem Südtiroler Lobbyismus, von der Südtiroler Machtkonzentration? Und leiden nur die deutsch- und ladinischsprachigen Südtiroler unter dieser neuen Form von Abhängigkeit, oder auch ihre italienischsprachigen Mitbürger?
    Die Abhängigkeit unserer Gesellschaft ist ein gemeinsames Problem und kann nur gemeinsam gelöst werden. Wenn wir uns von dieser Abhängigkeit nicht befreien, werden wir auch in einem Freistaat Südtirol abhängig bleiben.

    Das System Südtirol demokratisieren; die Südtiroler BürgerInnen aller Sprachgruppen unabhängiger machen; eine echte Südtiroler Freiheit schaffen für alle BürgerInnen: das scheint mir unsere zentrale und aktuelle Aufgabe.”

    Stimme hier völlig zu auch in der These, dass unser Problem nicht immer Rom ist, sondern zum Teil auch Bozen. Aber: In Rom habe ich keinen Einfluss, in Bozen schon. Deshalb bin ich zuversichtlich, dass wir die oben angesprochenen Probleme ebenfalls besser ohne römischen Störeinfluss lösen können. Ich weiß, dass einige Exponenten der Grünen (teils auch aus nachvollziehbaren Gründen) eine Angst verspüren, dass ein unabhängiges Südtirol der Logik bestimmten Lobbygruppen folgend würde.
    Ich sehe es eher umgekehrt. Ohne den “äußeren Feind Rom” wird es erst zu einer nachhaltigen Demokratisierung Südtirols kommen mit völlig neuen Parteienkonstellationen wie heute. Keine Sammelpartei, keine ethnischen Parteien usw. (den Verbot von ethnischen Parteien könnten man z.B auch in der Verfassung Südtirols verankern)

    “Aber interessanter wäre es zu wissen, was Südtirol eigentlich ist. Und zwar das Südtirol von heute, nach all dieser Geschichte des Zwanzigsten Jahrhunderts. Ich versuche, einige Merkmale festzustellen:

    1. Mehrsprachigkeit und Vielfalt an Kulturen; Gewohnheit, mit anderen friedlich zusammenzuleben.
    2. Autonomie und Selbstverwaltung.
    3. Landschaft und Natur.

    Diese drei Eigenschaften sind eng miteinander verbunden. Sie immer mehr zu vertiefen, zu pflegen, zu entwickeln, an die neue Herausforderungen anzupassen, sie kreativ und innovativ ständig neu zu gestalten, halte ich als eine moderne Form von Südtiroler Patriotismus.”

    Die Schlussworte klingen wie Musik. Genau hier müssen wir anknüpfen. Herr Dello Sbarba ich mag vielleicht eine unverbesserlicher Idealist sein (auch in ökologischen Belangen) und Idealismus ist immer auch ein wenig mit Naivität gekoppelt, aber ich bin tief überzeugt, dass der succus des hier Gesagten am besten in einem Freistaat Südtirol im bbd Sinne verwirklichbar ist.

  8. Di passata, solo alcuni punti da approfondire:

    Durante la discussione di Bressanone erano presenti sul palco quattro politici. Riccardo, Klotz, Leitner e Marthe Stockner. Se dovessimo indicare CHI abbia messo in luce in modo più positivo e concreto la possibilità di giungere alla creazione di uno Stato Indipendente non ci sono dubbi che sia stato proprio Riccardo Dello Sbarba. E questo DIMOSTRA (come se ce ne fosse bisogno) che ogni tipo di istanza autodeterministica che parta dai desideri e dalle esigenze di un UNICO gruppo linguistico è del tutto irrealistica (l’argomentazione della Klotz, per esempio, è risultata di gran lunga la più debole, la più stanca).

    Per poter parlare (anche solo parlare) di autodeterminazione à la sudtirolese è centrale la “questione degli italiani”.

    Giustamente abbiamo osservato che la posizione di Riccardo si avvicina notevolmente alle tesi elaborate negli anni da BBD. In questo senso è opportuno ribadire che il laboratorio di BBD ha svolto un’importante funzione culturale ed è da considerare tra le esperienze di “discorso pubblico” più significative di questi ultimi anni.

  9. Qualche mese fa, alla Klausur dei Verdi, presente Riccardo, lessi un testo, che ripropongo in estratto nella parte che, vedo, è diventata più interessante:

    “Quando parlavo d’immaginario post-autonomistico. Da quando la vertenza internazionale tra Italia e Austria si è chiusa, cioè dal 1992, possiamo dire che il Sudtirolo ha cominciato a concepire se stesso alla stregua di un potenziale stato “indipendente”. Se non sbaglio, lo stesso Hans Heiss ha parlato più volte di un latente (ma neppure troppo) processo di Nation Building. Bene, qual è però il materiale simbolico del quale si nutre questo processo per poter sussistere e legittimare se stesso? Nonostante tutto, il discorso pubblico sudtirolese è ancora totalmente occupato dai “relitti psicologici” sui quali è stata costruita la cornice istituzionale dell’autonomia. E quando l’implementazione delle norme statutarie ha sancito un livello di autogoverno pressoché effettivo, il senso di “onnipotenza” scaturito dai successi amministrativi ed economici ha ravvivato quel desiderio di emancipazione “totale” che nel periodo precedente l’approvazione del pacchetto si riferiva alla pratica (se non all’ideologia) dell’autodeterminazione. Questo contesto è indispensabile per comprendere la dialettica che sta attualmente opponendo la strategia del “lungo periodo” della SVP (passo dopo passo, competenza dopo competenza) alle brame più spicciole della “destra tedesca” (il Sudtirolo è “nostro”). Ma i Verdi, in questo contesto, che cosa hanno da dire? A me sembra che non abbiano da dire nulla, se non che i discorsi sull’autodeterminazione non sono prioritari o che mettono a repentaglio la convivenza tra i gruppi linguistici. Ma è un errore capitale.

    È un errore capitale minimizzare la questione dell’autodeterminazione pensando che sia qualcosa d’interessante solo per Eva Klotz o per il nuovo consigliere provinciale vestito da Schütze. È un errore capitale pensare che una discussione sull’autodeterminazione non coinvolga il sentire “profondo” di gran parte della popolazione sudtirolese. È soprattutto un errore capitale pensare che i Verdi (paladini eventualmente dell’autodeterminazione “individuale”, che cerca dunque di distogliere lo sguardo da ogni tipo di priorità avente a che fare con logiche di “gruppo”) non abbiano niente da dire al proposito.

    Come alcuni di voi ben sanno e ben ricordano, Alexander Langer partecipò alla manifestazione “pan-tirolese” del 15 settembre 1991, al Brennero, non in qualità di mero osservatore un po’ snob o vestendo i panni dell’intellettuale con la puzza sotto al naso. Bene, Langer per quell’occasione sviluppò alcune riflessioni che suonano così: “Il Sudtirolo è di tutti quelli che lo abitano, quindi ogni discorso sul suo futuro deve essere fatto in primo luogo da tutti gli abitanti di questa terra, insieme, senza distinzione fra gruppi linguistici o anzianità di residenza, e senza delegare i propri destini né a Roma, né a Vienna, né a Trento, né a Innsbruck”. Questo è un tono (e per quanto riguarda il contenuto: l’ultima parte) che probabilmente potrebbe far drizzare le orecchie anche a qualche elettore di Pius Leitner, a qualche simpatizzante di Christian Egartner, a qualche compagno di bevute di Roland Atz. Ma Langer proseguiva: “Va sviluppata molto la qualità e la quantità delle relazioni, degli scambi e delle iniziative comuni con le regioni vicine, innanzitutto con il Tirolo austriaco, con il Trentino, col Voralberg, con il cantone dei Grigioni. Sempre più si consolida un tessuto comune di problemi, di soluzioni, di ordinamenti, di valori, di economie, di società nell’arco alpino, ed il Tirolo storico da questo punto di vista può essere un utile riferimento, non solo nostalgico“.

    Ecco. “Il Tirolo storico può essere un utile riferimento, non solo nostalgico”. Se i Verdi oggi (perché purtroppo ieri non è stato possibile) imparassero nuovamente a pensare in questa direzione, proponendo una versione interetnica, transfrontaliera e “pan-tirolese” (ma nel senso del Tirolo storico!!!) del tema dell’autodeterminazione sono convinto che troverebbero un ascolto partecipe in tutti coloro i quali, in mancanza di alternative, finiscono col contestare la gestione della nostra autonomia riattualizzando pose e discorsi che ne hanno preceduto l’istituzione. Del resto, è un fatto che ogni richiamo ad una maggiore qualità della convivenza è destinato a cadere nel vuoto se non si ipotizza di mettere mano ad una riforma sostanziale dell’autonomia. Si tratta di trovare il modo, di indicare una prospettiva, di suscitare qualche “emozione geopolitica” (tenuto soprattutto conto del fatto che non è possibile, oggi come oggi, né dichiarare oziosa ogni questione geopolitica, né tanto meno lasciare mano libera a chi fa della questione geopolitica un quotidiano esercizio di pessima retorica patriottarda)”.

  10. » […] il futuro della nostra area geografica si chiama proprio così: Regione Europea del Tirolo, inserita in un’Europa unita, con un progetto di “integrazione nell’integrazione”, che dovrebbe ricucire al tempo stesso lo strappo del 1918 e lo sviluppo economico, ambientale e territoriale a nord e sud della catena alpina. Utilizzando margini di azione sub-statuale (dove, cioè, gli Stati sovrani non agiscono come tali, ma non impediscono ad entità minori di agire), si vorrebbe rafforzare un tessuto di iniziative, relazioni ed anche istituzioni comuni tra regioni e province appartenenti a Stati diversi, ed in particolare ad Austria e Italia. Il riferimento all’antico grande Tirolo pluri-lingue pre-1918 (comprendente il Trentino, il Sudtirolo, il Tirolo ed il Vorarlberg austriaci) dovrebbe evocare non solo un ricordo nostalgico, ma anche l’idea che dei legami sufficientemente radicati nel passato possano dare forza e linfa al progetto, che cercherebbe di evitare il conflitto aperto con gli Stati (quindi niente ridefinizioni di frontiere o anticipazioni monetarie, nessuna diminuzione di sovranità ufficiale..), guadagnandosi nel frattempo il sostegno dei cittadini. Poi.. chi vivrà, vedrà.

    Sarebbe sbagliato ritenere solo i nostalgici del passato impegnati a riflettere su questa prospettiva: per rendersene conto basterebbe ricordare le iniziative “per l’altro Tirolo” che si sono svolte – con la partecipazione di esponenti verdi ed alternativi tirolesi, altoatesini e trentini nei primi anni ’80. L’idea che in una regione, intesa anche al di là dello spartiacque alpino, dei confini statali o delle differenze linguistiche, si possano coltivare progetti ed iniziative comuni e rafforzare legame antichi e costruirne di nuovi, non è patrimonio nè di austriacanti nè di sognatori. Il disegno di un’Europa unita avrà bisogno di zone di sutura, in cui i vecchi confini statali si diluiscano più generosamente che altrove ed in cui l’artificiosità delle frontiere nette tra lingue e popoli possa invece dissolversi gradualmente in territori comuni, in aree di più intenso scambio e di frequentazione transconfinaria. Aree-ponte, territori che anticipino e garantiscano legami che oggi ancora le sovranità statali circondano sempre di qualche diffidenza e qualche complicazione amministrativa in più. […]«

    Alexander Langer, “PER UN’EUREGIO PIU’ ALPINA CHE TIROLESE”
    da “Arcobaleno” n.02-1995

    Quelle/fonte: „Aufsätze zu Südtirol 1978-1995 Scritti sul Sudtirolo”
    Hrg. Siegfried Baur/Riccardo Dello Sbarba, „Alpha&Beta”, Meran|o 1996

  11. Caro Riccardo,
    ti do ragione su QUASI tutto quello che hai detto nella discussione su un possibile “Freistaat”. è giusto che non abbiamo bisogno di un’altra frontiera in un’ Europa sempre più unita, hai anche ragione che bisogna migliorare la convivenza tra i diversi gruppi etnici.
    È giusto che anche i nostri concittadini di lingua italiana dovrebbero avere il diritto di sentirsi come “Südtiroler” di prima categoria. Bisogna senz’altro e senza compromessi prescindere da ogni idea di divisione etnica. Questo ci insegna la storia.
    Anzi, direi anche, come vanno le cose attualmente nella nostra provincia, dobbiamo essere – purtroppo – contenti di avere almeno un controllo parziale da parte di altre istituzioni.

    Quello che però trovo problematico ed anche pericoloso è la discussione sui monumenti fascisti. Se gli italiani – come scrivi – hanno bisogno di questi monumenti per la loro identità, allora c’è qualcosa che non va e che soltanto difficilmente riesco ad accettare. Non troviamo altri esempi, danneggerebbe la loro identità se questi monumenti, relitti di uno dei più amari periodi mai vissuti nella storia umana, fossero sostituiti con un monumento dedicato a Dante, Giovanni Pascoli ecc….?
    O almeno: non possiamo vederli come dei monumenti che ci fanno ricordare un tristissimo capitolo della nostra storia (ma allora bisognerebbe cambiare le spiegazioni ecc.). Fu anche triste quando i verdi non alzarono la loro voce (e mi includo) nella discussione tra le alternative “piazza della pace/vittoria”. Io sono chiaramente per la pace, non per la vittoria.

    Penso che sia un errore tremendo, storico e politico, non combattere l’ideologia fascista, sia quella di filone tedesco che quella italiana. E purtroppo siamo l’unico paese in Europa che dichiara i monumenti fascisti parte della nostra identità.
    Questo mi sembra tristissimo e soprattutto spetterebbe ad un partito di sinistra cambiare rotta. Non lasciamo questo privilegio agli Schützen o alla destra tedesca, ma combattiamo ogni ideologia fascista a prescindere dalla lingua in cui è espressa.
    È problematico sul piano politico, perché così continuiamo a perdere voti verso i Freiheitlichen, Klotz ect.
    Sarebbe bello se potessimo essere più coerenti e chiari nei messaggi soprattutto quando finalmente – come hai fatto tu – parliamo di problemi che interessano anche la gente per strada. Se non cambiamo radicalmente rotta perdiamo ogni credibilità.
    Ti mando questa critica costruttiva, per esprimere ciò che tanti pensano ma non dicono. Ed i principi dei verdi: “sociale, ecologico, pacifico”, sono troppo importanti per me per vederli annegare in un’ondata di cui profittano solo Freiheitlichen, Klotz o AN, FI, Unitalia…

  12. @Roland Keim
    Anzi, direi anche, come vanno le cose attualmente nella nostra provincia, dobbiamo essere – purtroppo – contenti di avere almeno un controllo parziale da parte di altre istituzioni.

    Auch ich bin nicht glücklich über das System Durnwalder, wo man um 6 Uhr morgens über Baugenehmigungen verhandelt und ein bestimmter Filz die Pfründe verteilt. Nichtsdestotrotz finde ich die Einstellung, dass uns bestimmte italienische Institutionen (es wird hier wohl um die Polizei, das Gerichtswesen und die Finanzbehörden gehen) quasi ein Mehr an Demokratie bringen, verwunderlich und bedenklich.
    Mal abgesehen davon, dass der Zustand der Institutionen in Italien ein demokratiepolitisch besorgniserregendes Niveau erreicht hat, ist mir eine Verwaltung, auf die ich selber Einfluss nehmen kann lieber als der “Retter” aus Rom. In diesem Zusammenhang wird Italien wohl von vielen Südtiroler linksliberalen Kreisen immer noch stark romantisiert. Während bestimmte Mißstände in Südtirol (Durnwalder System usw.) zu Recht kritisiert werden, werden wesentlich besorgniserregendere Zustände in Italien mit einem Achselzucken hingenommen.
    Etwas mehr Vertrauen in die Südtiroler Gesellschaft wäre hier angebracht. Ich bin davon überzeugt, dass die Südtiroler Zivilgesellschaft sehr wohl in der Lage ist, ein gut funktionierendes, unabhängiges Staatswesen aufzubauen. Den lästigen Wachhund aus Rom haben wir ganz sicher nicht nötig.

  13. Gentile Niwo, Sie schreiben: „Das ist einer der wesentlichen Punkte. Ein Freistaat Südtirol muss eine gemeinsame Identität schaffen. Wenn dies nicht gelingt, dann wird es auch zu keinem Freistaat kommen.“ Non è una contraddizione in termini? Lei crede che un nuovo stato, promuova un’identità comune. Ma se prima secondo lei ci dev’essere una identità comune, come può essere anticipata da uno Stato, e a parole libero?
    Cosa vuol dire poi identità comune? E’ questione di aprire o chiudere gli orizzonti personali per condividere o meno un’identità più o meno grande. (Sul tema identità consiglio la lettura di “Uno nessuno centomila” di Pirandello, dove il tema identità va ben oltre alle tematiche etno-storiche ponendo alla radice il problema del chi siamo ).
    L’esigenza di uno Stato nuovo mi sembra sia colllegata per lei a qualche speranza (tornaconto suona egoistico?) di miglioramento economico ed ecologico però tutto da dimostrare. Ecologicamente stiamo cercando di condividere con tutto il mondo decisioni restrittive per il riscaldamento globale ecc. Chi mi dice che il futuro Stato Libero Sudtirolo sarà un aiuto a queste mète piuttosto che un nuovo impedimento? Chi vota oggi Svp, F, SF, AN, Forza Italia, Lega e altri allargherebbero i diritti individuali, le battaglie ecologiche? O creerebbero un’identità comune a loro e basta (ci riuscirebbero meglio di adesso? E perché?), facendo nascere semplicemente una nuova piccola Nazione con il suo piccolo grande nuovo nazionalismo? E’ evidente e innegabile che lavorare per concetti identitari ristretti, aumenta gli egoismi umani, oltre che le paure e le diffidenze verso l’Altro. Se alzo muri e confini difficilmente apro le coscienze! E tanto meno aumento la solidarietà.
    Torno a ribadire e a ripetere un concetto che non mi sembra preso necessariamente in considerazione. Il concetto di libertà deve essere tenuto fuori dalla sfera del diritto, quella sfera che la politica e lo Stato deve regolare. Nel campo del diritto dovrebbe vigere l’uguaglianza non la libertà. Inoltre cosa vuol dire un popolo libero? E’ un concetto astratto, inesistente! Potenzialmente esistono solo individui liberi, sono tutti gli individui liberi, tutti individualmente, allora lo è anche il popolo. Il contrario non esiste! Esistono individui, uomini, donne, bambini delle più diverse provenienze culturali, spirituali, atee, ecc., che si ritrovano all’interno di un territorio e cercano regole e leggi comuni oltre le appartenenze etniche, oltre le denominazioni linguistiche, le rivendicazioni italiche o pantirolesi ( perché per esempio non retiche ?) Per questo non mi serve un nuovo Stato, ma la vera libertà nel campo culturale (istruzione, religione, ricerca).
    Il futuro non è creare nuovi o vecchi stati che creerebbero conflitti imprevedibili ma un’ Europa, un mondo che condivide sempre più leggi comuni, all’interno di autonomie sempre più locali. Rafforzare i legami culturali, economici con le regioni vicine dovrebbe andare da se, perché dovremmo per questo aver bisogno di uno Stato nuovo? Il principio della libertà può vivere solo nel campo culturale, dove ogni individuo deve essere libero di parlare la lingua che vuole, creare le scuole che desidera, praticare le religioni che ama, certo creare anche le squadre sportive che desidera. Ma dovrebbe stare al singolo sportivo poter scegliere per chi gareggiare, non deciderlo lo Stato! Allora dobbiamo inventarci nuovi diritti legati alle scelte individuali, non rimpicciolire gli Stati, dove continuerebbero a vivere individui che per motivi famigliari o di appartenenza ideale vorrebbero gareggiare per la Macedonia, il Tibet, l’Ucraina , l’Italia e ora nel nuovo Stato dovrebbero gareggiare per il Sudtirolo Libero. Avremmo risolto il problema o lo avremmo solo rovesciato? Frammentandolo?
    I confini del diritto devono allargarsi e sempre più guardare all’individuo e alla sua identità prettamente umana. Lasciandolo libero di crearsi l’abito culturale che desidera e renderlo uguale davanti alla Legge. Lo Stato dovrebbe sempre più restringere le proprie competenze, restringendole al Diritto e al Sociale (un sociale molto più ampio di oggi!). La mia sensazione è che invece il nuovo Stato del Sudtirolo avrebbe la tentazione di allargare le competenze dello Stato non restringerle. Aiutando magari economicamente i soliti 4… o 5. Era la simpatica ed esperta comunista Menapace a dire che il Sudtirolo è già l’ultimo Stato comunista in Europa, scherzava ma mica tanto!
    “Wenn wir nach einem Worte suchen, dass wir setzen müssen an Stelle des Wortes Nationalität für die mitteleuropäische Kultur, so finden wir, schon rein angesichts der geographischen Notwendigkeit, das Wort: Streben nach Individualität.” (Johann Gottfried Herder)
    E un nuovo stato non fonda con certezza una identità comune ma sicuramente una nuova nazionalità.
    Ein neuer Staat gründet nicht sicherlich eine gemeinsame Identität aber sicher eine neue Nationalität.
    ciao e danke dell’attenzione a tutti

  14. niwo,

    will nicht falsch verstanden werden: was in Rom läuft ist zweifellos inakzeptabel und ich bin weit davon entfernt, diese Zustände romantisch verklärt zu sehen. Aber beim Gedanken, dass Gericht und Polizei ebenfalls von einer einzigen Person – ähnlich wie eben auch die meisten anderen Aktivitäten in unserem Lande – kontrolliert werden, bekomme ich in der AKTUELLEN Konstellation ein mulmiges Gefühl im Bauch. Ja, vielleicht wäre es in einem “Freistaat” anders, aber eben nur vielleicht.

  15. “E un nuovo stato non fonda con certezza una identità comune ma sicuramente una nuova nazionalità”.

    Questo è – da sempre – il muro teorico contro il quale ci siamo inevitabilmente schiantati (e continueremo a schiantarci) noi di BBD. Non a caso (in origine) io m’inventai la formula “una nazione senza nazione”. Ma non sono mai riuscito a capire cosa volevo dire….

  16. Non mi sento affatto legata ai monumenti fascisti che stanno qui a ricordarmi,ogni volta che li vedo,una dittatura di cui mi vergogno,che ha portato tanto male in questa terra ed in tutta l’Italia.Le conseguenze di quella dittatura le soffriamo ancora,nelle piccole cose,in ambiti che ci sfuggono,ma che riempiono la vita quotidiana : l’organizzazione del territorio,i quartieri delle città,le proprietà perdute e le nuove proprietà, leggi e regolamenti……Anche i romani hanno sconvolto intere regioni e là dove i centurioni di ritorno dalle campagne hanno ricevuto come pagamento dei territori,le precedenti strutture del territorio sono state spazzate via ed ancora oggi si vedono le conseguenze di quei lontanissimi fatti….
    Quei manufatti ci servono per ricordare ciò che è stato,come tutte le migliaia di tracce della storia che ci sono in ogni luogo. Punto.Punto.

    E parliamone di questa autodeterminazione,vediamola fino in fondo ,immaginiamo scenari nuovi che accontentino le libertà di tutti…..Ma ci hanno mai pensato Ellecosta,Klotz &Co?….grazie Riccardo.

  17. Die Idee des Freistaates bzw. neuen Staates ist nur deshalb reizvoll, weil es andere solche in Europa bereits gibt und diese – auch aufgrund ihrer Kleinheit – nicht am Schlechtesten funktionieren.
    Wenn ich aber auf die Durnwalder-Demokratur sehe, graut mir vor einem Staate Südtirol, wo Ebner und seine Diener in der SVP die MACHT noch unkontrollierter ausüben, als sie es jetzt schon tun. Von dem her, und auch im stets angesprochenen Sinne der Wiedervereinigung Tirols, wäre die Angliederung Südtirols an Österreich die wohl logischste Variante.
    In diesem Falle müsste nur geklärt werden, ob als 10. Bundesland oder integriert in das demnach zu erweiternde Tirol.
    Dass auch die italienischsprachigen Südtirolerinnen in jedem Falle zu mindestens 2/3 zustimmen müssen, steht ausser Diskussion.
    (wobei ja immer noch nicht sicher ist, ob unser verherrlichtes Vaterland Österreich überhaupt geneigt ist, uns wieder in seine Arme aufzunehmen…)

  18. Neues Nationalbewusstsein ist nicht nur überflüssig sondern wieder eine Trennungslinie zwischen den Kulturen. Jede Sprachgruppe gehört ihrerseits bereits einer der großen Kulturnationen an, jener Goethes und Schillers bzw. jener Dantes. Viel mehr ein breiter Konsens zwischen den Kulturen muss es geben, eine Basis von Zusammenleben und Zusammenarbeit auf all jenen Ebenen – mindestens ebenso wichtigen sozialen Bereichen – wie etwa Ökonomie, Ökologie, wo nicht etwa die Ethnie oder Sprache die Interessen trennen, sondern wo andere Berührungspunkte da sind. Siehe dazu die Gewerkschaften, wo eine derartige sprachgruppenübergreifende Arbeit stattfindet.
    Ich würde doch behaupten das gerade in der aktuellen Situation der Industriegesellschaft etwa die Arbeiterschaft, Arbeiter, Angestellte und Bedienstete unabhängig ihrer Volksgruppenzugehörigkeit mehr gemeinsame Interessen haben denn etwa mit Unternehmern bzw. Industriellen der jeweils eigenen Sprachgruppe.
    Auch solche sozialen Aspekte herauszustreichen kann viele Menschen zur Besinnung führen und sie erkennen lassen, dass in unserer Zeit ethnische Grabenkämpfe nicht nur überholt oder zweitrangig sind, sondern, dass sie sogar in gewisser Weise von den tatsächlichen Problemen der Gegenwart, die zweifelsohne sozialer Art sind, bewusst oder unbewusst ablenken bzw. darüber hinwegtäuschen.

  19. “E’ evidente e innegabile che lavorare per concetti identitari ristretti, aumenta gli egoismi umani, oltre che le paure e le diffidenze verso l’Altro. Se alzo muri e confini difficilmente apro le coscienze! E tanto meno aumento la solidarietà.”

    Non è per nulla evidente e innegabile. La Svizzera, con tutti i suoi diffetti, ci dimostra il contrario in quanto a diffidenza e paura verso il diverso. In ogni caso, andando leggermente in off topic, rafforzando la cultura della legalità (e quindi la sicurezza) la diffidenza crolla. Nell’Italia berlusconiana le sprangate sostituiscono le condanne dei giudici.

    “Potenzialmente esistono solo individui liberi, sono tutti gli individui liberi, tutti individualmente, allora lo è anche il popolo.”

    Se gli individui sono liberi in Italia, questo va bene, mentre se gli individui liberi decidono liberamente e democraticamente di non voler far parte di uno stato definito in termini nazionali, questo non va più bene?

    “Il futuro non è creare nuovi o vecchi stati che creerebbero conflitti imprevedibili”

    Gli stati vecchi ci sono già, non vanno più creati, quindi questa affermazione in realtà è volta solo contro gli stati nuovi. Ma perché quelli vecchi, nazionali, avrebbero un diritto ad esistere e quelli nuovi, magari non nazionali, ma plurietnici, non lo avrebbero? La nascita di entità nuove non contribuirebbe a ridefinire il concetto stesso di stato ed il loro ruolo nell’Unione? A me la condivisione di regole comuni va benissimo, secondo il principio di sussidiarietà.

    “Avremmo risolto il problema o lo avremmo solo rovesciato? Frammentandolo?”

    Avremmo contribuito a decostruirlo, nella fattispecie dando ai sudtirolesi in quanto tali, e non più in quanto italiani, tedeschi, ladini, la possibilità di gareggiare. In ogni caso, sarei favorevole a lasciare libera scelta all’atleta di aggregarsi alla squadra che più gli piace.

    “E un nuovo stato non fonda con certezza una identità comune ma sicuramente una nuova nazionalità.”

    Il nuovo stato crea con certezza una nuova statalità, nell’accezione più asciutta del termine. Se sarà come noi ce lo immaginiamo, inoltre, contribuirà a decostruire il concetto di “nazionalità”.

    “Aber beim Gedanken, dass Gericht und Polizei ebenfalls von einer einzigen Person – ähnlich wie eben auch die meisten anderen Aktivitäten in unserem Lande – kontrolliert werden, bekomme ich in der AKTUELLEN Konstellation ein mulmiges Gefühl im Bauch.”

    und

    “Wenn ich aber auf die Durnwalder-Demokratur sehe, graut mir vor einem Staate Südtirol, wo Ebner und seine Diener in der SVP die MACHT noch unkontrollierter ausüben, als sie es jetzt schon tun.”

    In einem Rechtsstaat kontrolliert ein einziger Mann niemals Bereiche über die Grenzen zwischen Legislative, Judikative, Exekutive hinweg. Im heutigen Italien geht die Entwicklung jedoch in diese Richtung.
    Wenn in einem unabhängigen Südtirol die Berechtigung für eine Sammelpartei wegfällt, und das tut sie, und das kann man auch verfassungsmäßig durch ein Verbot ethnischer Parteien festschreiben, dann wird es auch die heute gekannte Machtkonzentration nicht mehr geben. Sie ist ein Übel des Zusammenhaltens.

    “Von dem her, und auch im stets angesprochenen Sinne der Wiedervereinigung Tirols, wäre die Angliederung Südtirols an Österreich die wohl logischste Variante.”

    Die Angliederung an Österreich und die Entstehung/Beibehaltung zweier Minderheiten in einem weiteren national definierten Land wäre eine Katastrophe. Dann lieber der Istzustand.

    “Viel mehr ein breiter Konsens zwischen den Kulturen muss es geben, eine Basis von Zusammenleben und Zusammenarbeit auf all jenen Ebenen – mindestens ebenso wichtigen sozialen Bereichen – wie etwa Ökonomie, Ökologie, wo nicht etwa die Ethnie oder Sprache die Interessen trennen, sondern wo andere Berührungspunkte da sind.”

    Gerade dafür böte ein unabhängiges, post-ethnisches Südtirol eine hervorragende Grundlage.

  20. no ma ragazzi, calma! Boni!
    Dove state andando in questa discussione?
    Pensate veramente che di fronte a crisi mondiale, precipitazione di valori, globalizzazione, fame e disastro climatico quello che serve e che ci salva è un Freistaat?
    Altri confini, altre strutture, una totale riconferma e anzi diventata-stato idea del Miar sein miar?
    Sono allibita.
    Ma vi rendete conto chi governerebbe questo splendido stato? Il principio, ormai lessicalizzato, delle “6-del-mattino” come linea di governo? In cosa si differenzia dal governo dei decreti d’urgenza di Berlusconi? Qualcuno me lo spiega?
    E soprattutto: quale (QUALE!?) dei nostri problemi sarebbe risolto?
    Siamo a pochi mesi dalle elezioni europee e Daniel Cohn Bendit l’altro giorno a Dobbiaco mi ha fatto capire una cosa importante: che ne la crisi economica, ne l’inquinamento, ne l’energia nucleare, ne tantomeno il traffico inutile si ferma ai confini nazionali.
    Ne vogliamo creare veramente dei nuovi? Servono, nel 21° secolo? Sono espressione di quel modello umanistico che vogliamo, noi verdi o anche più vagamente, noi di sinistra perseguire?
    E chi parla di ritorno all’Austria – sicuri che in quel caso i nostri problemi spariranno? Perchè? Trovandoci in un paese col 30% e passa di elettorato di esplicita destra – vedreste ben protetti i diritti di una minoranza come sarebbero gli italiani in quel caso?
    Mi sembra una discussione così futile e non riesco a capire dove sta l’attrazione che vi trascina.
    Personalmente penso che abbiamo in mano tutti gli strumenti per una buona vita in Sudtirolo e che anzi, siamo degli straprivilegiati in Europa.
    Ho studiato bene la storia del Sudtirolo quindi per favore non mi rispondete dicendo che dimentico questo o quello.
    Ma proprio per averla studiata bene sono sempre più dell’idea che possiamo vivere bene questa terra.
    Con qualche accorgimento che dovremo prendere – a livello culturale, però.
    Ed eccoci arrivati a monumenti, sui quali volevo aggiungere una sola riflessione, puramente aneddotica:
    qualche anno fa, insegnando alle ragionerie, in classe si parlava dei campi di concentramento. C’erano in classe degli skinheads che negavano apertamente l’esistenza dei campi. Tiravano fuori tutto il noto revisionismo, dicedo che i forni crematori li avevano messi li gli americani, che hitler aveva fatto le autostrade e via dicendo. Una parte della classe gli è venuta dietro. Poi si sono alzate le ragazze che erano state a Dachau, l’anno prima. Indignate hanno zittito gli skins, dicendo che loro, loro avevano VISTO cosa era successo nei campi.
    Questo è il senso dei monumenti. Non di creare identità (diceva bene rosina), ma di creare coscienza storica. E allora quel duce scalpito da Piffrader, se non sbaglio, per me è simbolo e ricordo e visibile manifesto di un tempo di oppressione e totalitarismo, ma non è un’offesa a me e alla lingua della mia mamma (tedesca).
    Quell’offesa c’é stata e fa parte della mia storia familiare, ma non c’entra ne col monumento ne, tantomeno, con gli italiani di adesso.

  21. Zur Österreichfrage:
    – ja, es stimmt, dass in Österreich die Rechten 30 % haben. Bei uns im Landtag aber haben sie so um die 50%. In Italien sind sie an der Regierung.

    – Klima etc:
    auf der österreichischen Brennerautobahn kostet der LKW-km 85 cent. Hier auf der italienischen Autobahn nur 15. Und kein Mensch in Italien will daran etwas ändern! Von dem her wäre die Zugehörigkeit zu Österreich allein in diesem uns massiv betreffenden Punkt schon eine Verbesserung.
    Zu den Mitteln, die wir in der Hand haben: ja, wir haben einige. Aber die essenziellen haben wir nicht! siehe Bürgerrechte, siehe Umweltgesetze, siehe Mediengesetze, siehe Anlassgesetzgebung (die auch bei uns wirksam ist!), siehe Steuergesetze, die wohl nirgends in Europa soo idiotisch sind, wie in Italien, siehe Unzivilisiertheit der Strafgesetzgebung, wo immer mehr die Kriminalisierung jedes und jeder um sich greift, statt Aufklärung, Ausbildung und Prävention.

    Nein, die sogenannte “Rückkehr zu Österreich” beinhaltet nicht nur einen wie immer begründeten historischen Aspekt, sie hat auch den Reiz, einen implodierenden Staat zu verlassen, mit dessen Alltagskultur im oben erwähnten Sinne die Einwohner Südtirols (nämlich mittlerweile fast alle!) nicht viel am Hut haben. Dario Franceschini hat es gestern gesagt: Italien unter Berlusconi steuert auf eine Autokratie zu. Ich fühle mich aber nicht dazu berufen, Italien zu retten, wenn sich mir andere Möglichkeiten bieten, meine Situation auf einem zweiten, durchaus ungewöhnlichen, (aber nicht ungesetzmäßigen) Weg zu verbessern. Also keine ideologische Frage, sondern eine reine Kosten-Nutzen-Rechnung in Bezug auf die Frage der Sezession.

    Die Summe der Staatsgrenzen (die ja sowieso schon in ihrer Wirksamkeit auf den Einzelnen abgeschwächt sind) würde bei diesem Manöver nicht zunehmen.

    Die anderen von Brigitte angesprochenen Notwendigkeiten bezüglich dem Ungleichgewicht in der Welt kann ich auch von Österreich aus angehen. Ganz im Gegenteil: vielleicht sogar viel wirkungsvoller!

  22. Brigitte und Rosina,

    wäre ja so schön, wenn das mit den Denkmälern wirklich so wäre! Der Ausgang des Referendums Siegesplatz/Friendensplatz und die diversen Aufmärsche und Huldigungen, sprechen aber leider eine andere Sprache. Wir müssen diesen Dorn der Geschichte nicht radikal entfernen, aber den richtigen Stellenwert geben: Erklärungstafeln auf denen auf die grausamen Verbrechen des Faschismus hingewiesen wird, auf Okkupation, Diktatur und Rassismus….. und darauf, dass solche Zeiten nie wieder kommen mögen, eben Einbettung in einen anderen Kontext! Ich bin sicher, dass dagegen viele rechte Parteien ankämpfen und so ihre wahren Gesichter zeigen würden. Da gibt es nichts zu verherrlichen, keine Monumente, die sich als Identifikationskern anbieten. Das sollten wir ernster nehme und dies wäre ein konkreter, korrekter und politisch kluger Schritt. Eine Leugnung von faschistoidem Gedankengut wäre nichts Anderes als den Kopf in den Sand zu stecken. Stellen wir uns also der Diskussion und nehmen wir den Dorn in der Bevölkerung ernst!

  23. ich stimme roland bei: wir brauchen eine möglichkeit der geschichts- und gegenwartswahrnehmung, bei der sich die italienerinnen in südtirol nicht mehr über diese elenden denkmäler definieren!

    in südtirol ist es in den letzten 6 jahrzehnten fast ausschliesslich um die deutsche und ladinische sprachgruppe gegangen. ich denke, wir kommen endlich zum punkt, wo es um die italienische gehen muss.

    all die menschen, die nicht aus dem status ante stammen, sollten einen zugang zu südtirol finden, der nicht vom staat italien abhängt. riccardo hat das in brixen wunderbar gesagt. sondern sich NATÜRLICH als südtirolerinnen fühlen. und fühlen dürfen.
    aber als solche im 21. jahrhundert müssen auch sie eine eindeutigere position zu den denkmälern finden, als das landläufig wahrgenommen wird: dass nämlich diese “identitätsdefinierend” seien. ich kann nicht glauben, dass das die meinung der mehrheit ist.
    ich glaube, dass ein abriss – wie ihn die marktschreier der F und SF und U fordern, nicht zielführend und letztlich auch undurchführbar ist. aber ich könnte mir schon vorstellen, dass man über das siegesdenkmal einen herrlichen grünen großen efeu wachsen lässt, das würde dem denkmal und dem platz eine ganz andere und friedlichere note geben!

  24. Ich kann mich nur wiederholen!

    Questo è il senso dei monumenti. Non di creare identità (diceva bene rosina), ma di creare coscienza storica. E allora quel duce scalpito da Piffrader, se non sbaglio, per me è simbolo e ricordo e visibile manifesto di un tempo di oppressione e totalitarismo, ma non è un’offesa a me e alla lingua della mia mamma (tedesca).
    Quell’offesa c’é stata e fa parte della mia storia familiare, ma non c’entra ne col monumento ne, tantomeno, con gli italiani di adesso.
    Wir sagen genau das gleiche!
    Meine frage ist nur (und das hatte ich im alto adige gefragt): warum identifizieren sich denn die DEUTSCHEN SüdtirolerInnen so sehr über die denkmale???
    Anstatt immer nur zu sagen, dass ich die italiener davon distanzieren sollen, sage ich, dass wir uns ALLE endlich von dieses ungetümen distanzieren sollen. Nicht indem wir sie in ein museum stecken, sondern indem wir die lehre, die in ihnen steckt, alle gemeinsam jedesmal wahrnehmen, wenn wir an ihnen vorbei gehen.
    Meine position ist da sehr eindeutig, keineswegs verharmlosend und weit weg von jedwedem sanften umgang mit faschismus/faschismen.

  25. Nein, Frau Foppa, zwischen Durnwalders Bittgängen und Berlusconis Notverordnungen, etwa zu den Themen Bürgerwehren, Sterbehilfe oder Ausländerhetze gibt es keinen Unterschied. Gar keinen.

  26. liebe brigitte,

    ich weiss schon auch, dass nicht jeder, der “alto adige” sagt faschist ist, wie das der pseudowissenschaftler kollmann von der sf immer kreischt. (ja: kreischt!)

    aber so ohne kommentar diese denkmäler vor sich hinstehen lassen? wäre das in deutschland möglich? ein hitlerdenkmal einfach stehen zu lassen und nachts zu beleuchten?

    um die coscienza storica zu bilden, braucht es auch werkzeuge. die denkmäler ganz allein sind (offensichtlich) zu wenig. ich denke nicht, dass sich die “deutschen” mehrheitlich über die denkmäler identifizieren: sie können sie nur so furchtbar leicht als argument nehmen, dass jeder, der nicht FÜR ihren abriss ist, sofort ein faschist ist! und das kommt einfach aus der erklärungslosen staatlichen, denkmalamtlichen erhaltung dieser monstren.

    ich bin überzeugt, dass gerade wir grünen hier unsere immanente funktion der sprachgruppenübegreifenden partei wahrnehmen können und auch sollen.

  27. Brigitte,

    nein, nein, wenn wir schon wollen, dass die Denkmäler als Mahnmal gesehen werden, dann müssen wir auch etwas AKTIV dazu beitragen und nicht einfach vorbeifahren, sie nach Möglichkeit ignorieren oder uns insgeheim an diese schlimme Zeit erinnern. Zu viel wurde geschwiegen: gerade was den Faschismus anbelangt! Auch das lehrt uns die Geschichte. Und: du hättest vielleicht recht, wenn solche Denkmäler für manche eben nicht doch Identifikation wären. Aber ich tue mir schwer, daran zu glauben.. (siehe oben). Wir könnten die Probe wagen, Sigmunds Vorschlag aufgreifen und das Siegesdenkmal, das Finanzamt, den Kapuzinerwastl usw. mit Efeu überwachsen lassen und historisch korrekte Erklärungstafeln anbringen….. Wir werden dann sehen, wieviel Identifikation darin steckt!!!! Wenn nicht, dann könnten wir gemeinsam feiern! Was würde dagegen sprechen? Nichts, wie ich meine! Genausowenig wie damals die Kriegsterminologie “Siegesplatz” durch “Friedensplatz” zu ersetzen. Wäre da nicht die Identifikation mit diesen verflixten Denkmälern und Symbolen! Es wäre schön, wenn wir da mehr Mut hätten, unabhängig von der Sprachgruppe.

  28. Natürlich verharmlost es den Faschismus, wenn man Monumente und Reliefs rennoviert und darunter auch noch offizielle Feiern eines Staates abgehalten werden, der mehr an eine Diktatur als an eine Demokratie erinnert.

    Frau Foppa vergleicht die Bittgänge um Baugenehmigungen, die ich auch nicht gut heiße, mit dem Einführen von Bürgerwehren und ausländerfeindlicher Legislativdekrete, bei denen Berlusconi alleine ohne Opposition alle Entscheidungen trifft.

    Das ist doch lächerlich… genau wie der Glaube daran faschistische Monumente würden zum besseren Geschichtsverständnis beitragen, denken Sie das wirklich???

    Weltfremd… mehr fällt mir dazu nicht ein.

    Wenn Frau Foppa so auf den Verbleib bei Italien beharrt, obwohl Sie doch darauf beharrt, Grenzen seien unwichtig, dann zeigt Sie doch nur wie wichtig diese Grenzen immer noch sind. Wenn Grenzen unwichtig wären – dann dürfte es doch kein Problem sein diese zu verschieben insofern die Mehrheit das will?

    Noch dazu jemanden wie Daniel Cohn-Bandit in den Himmel zu loben, ist wohl unterste Schublade. Das die Grünen diesen bekennenden Pädophilen als ihren Helden auserkoren haben, ist wohl bekennend für eine Partei die sich durch Doppelmoral und Wertverlust auszeichnet.

  29. Sosigis, perché ce l’hai tanto con i Verdi? Non li devi mica votare. Tu hai già trovato un partito che rispecchia i tuoi ideali, no? Buona fortuna.

  30. vielleicht ist frau immer noch nicht klar genug.
    Mir geht alles gut, was das verständnis für die geschichte erweitert.
    Bitte bringen wir tafeln an (stehen diese nicht schon vor dem siegesdenkmal?), ich befürworte das vollkommen.
    Ich habe schon vor jahren mit meinen schülerInnen führungen durch die stadt organsiert, damit sie diese zeichen der geschichte besser verstehen lernen.
    Ich habe die auswirkungen von faschismus in der literatur zum thema meiner diplomarbeit gemacht.
    Ich bin absolut für eine erklärung und zugänglichmachung der denkmäler. Warum wollt ihr das nicht aus meinen worten und meinem geschriebenem hören?
    Ich wünsche mir schon seit langem einen friedensplatz (https://riccardodellosbarba.wordpress.com/2009/02/05/noi-e-loro/) und vor allem wünsch ich mir, dass wir alle ihn uns wünschen, unabhängig davon wer früher einmal über wen gesiegt (???) hat.
    Wenn wir die geschichte endlich alle kennen, werden diese wunden auch mal verheilen.
    Warum will man das nicht?
    Habt ihr darüber schon mal nachgedacht? Warum immer wieder alle – auch diese diskussion beweist es – der alten logik von “wir” und “sie” aufsitzen, und dies auch sollen, weil es unser system so erhält wie es ist?
    Sigmund hat recht. Hier sind wir grünen die, die den weg weisen können.
    Und müssen.
    Das wütende aufbegehren jener mitlesenden, die meinen allein zu wissen, was heimat ist, beweist es mir nur allzu sehr.
    ps. An sosigis nur 1 antwort: ja, ich glaube daran, dass monumente zum besseren geschichtsverständnis beitragen können. Und in diesem glauben befinde ich mich in bester wissenschaftlicher gesellschaft – auch nicht-grüner fundamentalistInnen und weltfremdlerInnen.

  31. fein, dann bemühen wir uns gemeinsam und zeigen auch in der Öffentlichkeit Flagge! Es geht nicht um das “Wir” oder um das “Sie”, es geht schlichtweg um eine Ideologie. Punto, punto. Auch auf “deutscher” Seite gibt es da viel zu tun, wenngleich nicht auf Ebene der Denkmäler, aber auf Ebene der Einstellungen und – noch schlimmer – Handlungen (wir sollten uns auch darüber mehr Gedanken machen und Taten setzen)! Manchmal hängen diese Dinge zusammen. Stimmt, wir kleben nicht an Sprachgruppen und daher sollen und müssen solche Initiativen von uns ausgehen! Könen wir eine Umwidmung in ein Mahnmal beantragen mit allem was dazugehört? Bin jedenfalls froh darüber, dass solche Themen endlich klar angesprochen werden. Tun wir nun etwas gegen faschistische und faschistoide Ideologien, und zwar auf allen Seiten und klar in der Öffentlichkeit erkennbar!

  32. Da questi discorsi mi son fatto l’idea che taluni pensano che tra poco ci sarà il momento giusto per passare dalle parole ai fatti, che sia prossima l’opportunità dello strappo; io credo che non faranno altro che compattare tutti coloro che non la pensano come loro, e così avranno il risultato contrario a quanto sperato, perchè rinforzeranno una parte ora debole – lo Stato Italiano.
    Con tutti i problemi che ci sono e che ci saranno ancora di più nei prossimi tempi vogliono proprio complicarci ancora di più la vita…..boh…datevi una regolata, ascoltate la Brigitte….

  33. Un edera sul monumento, spegnere i riflettori accessi sul duce, una mano di bianco sulla insopportabile scritta fascista, uno schürzele al monumento dell’ alpino, un giro di nomi pacifici a piazze e strade… tutto si potrebbe fare o tramite decisioni politiche ( impossibili visto il sindaco e la giunta che governa il capoluogo) o tramite azioni culturali, performance o, perché no, iniziative di coraggio civile. Invece qua parla l’ intelligenzia, i visionari, le star , le migliori menti del Sudtirolo. Parlate di italiani e tedeschi, di una nuova nazione senza nazione… Belle idee, difficili ed elaborate proposte di geopolitica….ma c’eravate voi al Grande Caos di piazza Don Bosco… c’eravate voi al bar Heidi una di queste mattine? Cosa avete votato sulle speculazioni edilizie in piazza Gries e nel cuneo verde?
    E’ da lì che dovreste partire …o è più facile e più utile politicamente fare gli intellettuali vip?

  34. Fare gli intellettuali non è tanto facile. Fare gli intellettuali vip, poi, addirittura impossibile. Matilde, porta pazienza.

  35. A Matilde: non che mi debba giustificare se partecipo e seguo un confronto politico su un blog, oltretutto partendo da un articolo che parla proprio di autodeterminazione, ma non vivo in una torre d’avorio, lavoro tutti i giorni con i ragazzi (sudtirolesi di entrambe le lingue e di altre), per esempio nella bassa atesina con progetti teatrali volti alla prevenzione proprio dell’alcolismo, o con diversamente abili di entrambe le lingue. Progetti culturali che sempre cercano di includere e capire i problemi di chi mi sta intorno, nei limiti delle mie capacità . Credo mi appartengono tante identità, quella dell’intellettuale vip mi manca, probabilmente anche quella dell’intellettuale… Ma se Matilde vuol dire che parlare di autodeterminazione e monumenti sia occuparsi di problemi che non risolvono o migliorano il quotidiano, l’oggi della gente sono completamente d’accordo con lei. Al vuoto delle nuove e vecchie generazioni, al record di territorio superalcolico, o con la maggior percentuale di suicidi, non si da un risposta con un nuovo stato, ma con la ricerca di un uomo nuovo (quindi primariamente è un problema culturale, di educazione, formazione e per i giovanissimi di modelli), una donna o uomo, Mensch, che non gioca all’escludere ma cerca l’inclusione e non cerca i colpevoli del passato nel presente, ma guarda agli amici del futuro, pensando a case comuni, non a muri nuovi. Con un nuovo stato noi non diventeremmo una nuova Svizzera (per carità, sono loro l’esempio di solidarietà e trasparenza a cui fare riferimento?) ma piuttosto un loro cantone che diventa stato. Quindi non una confederazione con cantoni a maggioranze linguistiche diverse ma un piccolo stato con nuove minoranze, alle quali certo non si potrebbero vietare i partiti etnici, vorremmo inaugurare questo stato libero con un divieto che non esiste in nessuna democrazia occidentale? L’idea di stato nazione è quella appoggiata dalla maggioranza dei sudtirolesi desiderosi dell’autodeterminazione, l’idea di Stato Organismo, comprendente i cittadini di molteplici nazionalità l’abbiamo già: l’Europa. Perché non lavorare per sentirci sempre più europei non solo come soggetti economici passivi, ma come soggetti politici attivi? Perché non cercare una Costituzione Europea che ci unisca verso valori e leggi sempre più condivise, depotenziando gli Stati nazionali o non nazionali che siano invece di dover pensare alla Costituzione Sudtirolese? L’annessione dell’ Alto Adige all’Italia fu un errore gravissimo, un crimine commesso da una comunità internazionale, a questo errore della storia si pone ulteriore riparo non facendo sorgere nuovi stati, ma facendo nascere una coscienza internazionale reale, con passaporti e diritti sempre più condivisi e uguali, nella valorizzazione delle diversità e provenienze. Per quel che riguarda i monumenti metteteli o fattene ciò che volete è un tema che non mi appassiona. Non si può metterli in cantina perché sono testimoni storici? Peccato! Allora incanaliamoli in un percorso storico dove però sia chiaro che è un percorso dei Relitti della Storia, di relitti di una volontà colonizzatrice responsabile di crimini orrendi nei confronti dell’umanità, non di un solo territorio. Le vittime e i colpevoli non si trovano coi passaporti, ma guardando i comportamenti individuali, ieri e oggi.

  36. Credo che questa discussione, appassionata e ricchissima, debba fare un salto di qualità. Per questo vi invito tutti/e a trasferirvi al post successivo, che contiene una proposta su cui vorrei sentire il vostro parere.

    Qui solo ancora due cose:

    La prima sui monumenti: io la mia l’ho detta in due post precedenti. Vedi:
    https://riccardodellosbarba.wordpress.com/2008/11/13/monumenti-fascisti/ e soprattutto:
    https://riccardodellosbarba.wordpress.com/2008/12/05/il-monumento-la-testa-ed-il-cuore/

    Insomma, sono per la contestualizzazione, l’itinerario storico-didattico, megacartelli esplicativi, centri di documentazione intorno ai monumenti vari ecc…

    Però la questione centrale l’ha posta Brigitte: molti considerano questi monumenti come “cosa da italiani”, di cui si devono occupare gli italiani. Come cosa che ha a che fare con l’identità degli italiani.

    Manco per il cazzo! (scusa Brigitte).
    Con la mia identità quei monumenti non hanno proprio nulla a che fare! Io sono arrivato qui 20 anni fa e me li sono ritrovati davanti, e mi rompono le palle da allora, per colpa di voi nati qui che non avete combinato nulla in 60 anni.

    Ok, a parte l’esagerazione: quelli non sono pezzi di identità italiana, ma tracce della storia del Novecento del Sudtirolo e come tali appartengono a tutti e tutti abbiamo la responsabilità di decidere cosa farne, di farli propri e contestualizzarli e fare quel che volete e vogliamo.

    Bisogna ammettere che il Novecento in questa terra c’è stato, e che fa parte della storia di questa terra. Troppo spesso si pensa che la “vera storia” del Sudtirolo si fermi al 1918, il resto è “roba degli italiani” e se la si potesse candellare, hopla! in un colpo solo si sarebbe cancellato dal Sudtirolo il periodo fascista e quello nazista, più una guerra mondiale. Non è così semplice.

    Seconda cosa: ma Brigitte, che faccina ti sei messa?

  37. Es gibt gewiss einen beachtlichen Teil innerhalb der italienischen Volksgruppe, deren Bezugspunkt in Südtirol nicht diese Monumente der Vergangenheit, oder besser der Geist den diese Denkmäler vermitteln, ist. Allerdings ist es so, dass man es bisher verabsäumt hat eine objektive und rein inhaltliche Diskussion über diese Denkmäler zu führen. Dies ist vor allem darauf zurückzuführen, dass es bis dato nicht die Italiener selbst waren, die den Finger in die eigene Wunde gelegt haben, sondern viel mehr einige Volkstumskämpfer deutscher Zunge. Zumeist waren es genau jene deutschen Südtiroler, die diese Diskussion für ideologische Zwecke missbrauchten, anstatt eine ernsthafte Diskussion auf den Weg zu bringen und daher denkbar ungeeignet waren, solche heiklen Probleme zu thematisieren. Die Beiträge von Seiten der deutschen Sprachgruppe in den verschiedenen Debatten hatte immer den Tenor eines Vorwurfes den Italienern gegenüber, weshalb die beteiligten Italiener in der Defensive versuchten die eigene faschistische Vergangenheit aufzuwiegen mit jener der anderen Volksgruppe. Man fiel also in die alten chauvinistischen, in vieler Hinsicht revanchistischen Nischen eines sehr verkürzten Identitätsverständnisses zurück – auf beiden Seiten.

    Es obliegt den eingangs beschriebenen Italienern guten Willens den ersten Schritt zu machen, eine Lösung der zahllosen Debatten um die faschistischen Denkmäler durch eine Umwandlung in Mahnmäler zu akzentuieren. Die Anstöße auf deutscher Seite in diese Richtung müssen zwangsläufig bei der italienischen Volksgruppe als Nadelstiche wider ein friedvolles Zusammenleben der Kulturen aufgefasst werden. Vergangenheitsbewältigung, das faschistische Erbe aufzuarbeiten, fernab politischer Instrumentalisierung, muss jede der Volksgruppen für sich vornehmen, um eine Perspektive eines gemeinsamen Südtirols in den Köpfen zu manifestieren.

    Es wäre aber ein Trugschluss die ethnischen Grabenkämpfe auf die Debatten um die faschistischen Denkmäler zu verkürzen. Vielmehr fühlen sich die Südtiroler deutscher und ladinischer Zunge um ihr Recht auf Selbstbestimmung beraubt – dies völlig zurecht – studiert man die Geschichte Südtirols, so muss man zugeben, dass durchwegs über die Köpfe der Menschen hinweg entschieden wurde. Dieser Umstand sollte aber keine rein deutsch-ladinische Problematik sein, welche zudem noch der politischen Rechten für deren scharfmachende Agitation überlassen wird.
    Die Idee der Selbstbestimmung und der Gedanke an eine Sezession, im Sinne einer friedlichen Entwicklung territorialer bzw. regionaler Minderheiten mit schwierigem geschichtlichen Hintergrund ist doch in den vielen Krisenherden oder Problemzonen der Welt ein Thema, ich würde gar sagen ein Steckenpferd der sozialen, toleranten, linken Kräfte, sie dazu Nordirland, Katalonien, Baskenland und viele mehr. Es ist ein Südtiroler Phänomen, dass das Selbstbestimmungsrecht jenen Parteien überlassen, ja gar zugeschoben wird, welche diese dann vor ihren Karren spannen, um damit zugleich rassistische und populistische Agitation zu betreiben. Diese Akteure des Polittheaters basteln an einer Idee von Selbstbestimmung und an einer Vision unseres Landes mit dem sich freilich kein offener, sozial denkender und friedvoller Südtiroler identifizieren kann.
    Aber muss man es von Seiten der Wohlwollenden aller Sprachgruppen, die sich, wie wir im Laufe eben dieser Diskussion hier feststellen haben können, soweit kommen lassen, dass ein vielfältiger und so vielversprechender, auf Südtirol bezogen, sehr berechtigter Begriff wie Selbstbestimmung erst zum Spielball der reaktionären und chauvinistischen Kräfte wirtschaftsliberalen Schlages wird.
    Die berechtigte Vision und der Wunsch nach Selbstbestimmung in allen Facetten der Kraft dieses Wortes – Ende der staatlichen Fremdbestimmung, demokratische Willensbildung, aber auch und vor allem Befreiung von ökonomischen Zwängen (ein Aspekt der in vielfältiger Form mit dem angeschnittenen Thema Suizid zu tun hat), ethnischen Ketten, mehr Perspektiven für ein Zusammenfinden auf allen Ebenen – ist derart bedeutsam und gehaltvoll, dass es sich eine plurikulturelle Tendenz in Südtirol nicht leisten kann, ihn in der Schublade der Chauvinisten verstauben zu lassen.

    Ein soziales, basisdemokratsches und aufgeklärtes Südtirol ist möglich und die Losung lautet “Selbstbestimmung”

  38. sul primo intervento di niwo, punto b

    Anche a me non è mai stato chiesto se voglio essere parte di questo stato! Anche se sono di madrelingua italiana.

    non confondiamo appartenenza linguistica/culturale con sentimento di appartenenza ad uno stato-nazione! ci sono mille livelli di appartenenza diversi e le nazioni sono costruzioni sociali, non dimentichiamolo.
    e anche le tradizioni lo sono, con buona pace degli schützen. che tra l’altro -lo dico da trentina abituata all’esistenza di schützen di madrelingua italiana- coprono con l’attaccamento alle proprie tradizioni inquietanti tendenze da “pulizia etnica”. cosa che comunque accomuna tutti i nazionalismi.

    L’appartenenza del futuro deve basarsi sulla condivisione di una visione delle regole di convivenza fra culture e gruppi diversi, che conservino l’uguaglianza, la libertà (sì, graziano, anche la libertà) e il valore dell’individuo. permettendogli/le le identificazioni di gruppo che preferisce. permettendo l’incontro fra diversità tanto quanto l'”intimità etnica”(anche questo concetto langeriano).

  39. @Elisa, il concetto di libertà sono il primo a difenderla ma libertà individuale, sono liberi gli uomini individualmente possono trovarsi all’interno di appartenenze infinite, e anche come Schuetzen o Alpino certamente, finchè non si va contro la legge. Davanti a questa alla legge e al diritto dobbiamo essere uguali. Ma se esiste questa uguaglianza davanti alla legge e questa libertà nel campo culturale ci serve un altro stato?

  40. Nicht nur ein anderer Staat, einen offeneren gesellschaftlichen Konsens, der es vermag mit den Wunden der Vergangenheit umzugehen, ohne sie für politische Zwecke zu missbrauchen, der das Wort Freiheit nicht nur darauf verkürzt zwischen abertausenden an Konsumwaren auswählen zu können/dürfen/müssen und in jedem vierten Jahr einmal zur Wahlurne zu schreiten. So wie das Siegesdenkmal und all die anderen faschistischen Relikte ist auch die Brennergrenze ein bestehendes, längst überholtes, faschistisches Relikt. Und wie auch die Mahnmäler der Geschichte an Zeichen des Verständnisses bedürfen, bedarf auch die Tatsache, dass die in Südtirol ansässige Bevölkerung jeder Sprachgruppe nie selbst über ihre Zukunft bestimmt hat, an Besinnung und an Zeichen der Abkehr vom alten Geiste. Das Zeichen, dass so eine Abkehr vom Faschismus darstellt und zugleich in eine offene Zukunft weisen kann (!) ist die demokratische Entscheidung über die Zukunft des Landes als Gemeinwesen aller hier lebenden Menschen.
    Das Wort Freiheit hat zahlreiche Facetten und erschließt nicht nur territoriale, sondern vor allem soziale, ökonomische und kulturelle Aspekte – freilich auch Aspekte einer Selbstverwirklichung des Individuums im existenzialistischen Sinne der Freiheit des Einzelnen sich zu entfalten, den Terminus “Freiheit” aber allein darauf zu verkürzen ist kurzsichtig und auch engstirnig. Engstirnig, gerade weil dies alle anderen Dimensionen des Begriffes ausklammert, den Begriff an sich verkürzt auf eine beschränkte Bedeutung.

    Gewiss aber ist die Erkenntnis, dass eine Selbstverwirklichung im Rahmen des Bestehenden nicht oder unzulänglich möglich ist ein Anhaltspunkt, den Begriff Freiheit auch auf andere Ebenen abzubilden, im Sinne einer Transzendenz der begrenzten Möglichkeiten des real Gegebenen.

  41. @ les chemins.. ok vuoi portare il concetto di libertà nella sfera economica? avrai ciò che con Reagan e amici ha procurato questa crisi che è solo all’inizio. vuoi portarlo nella democrazia, ma la democrazia ha sempre in sé il non lasciare libera l’opposizione per lo meno di governare, quindi neppure nella democrazia vive pienamente il principio della libertà. lo vuoi portare nella territorialità?Sii allora conseguente e dovrai permettere in futuro l’autodeterminazione dello Stato di Bolzano, o di Laives o di Don Bosco, di via Resia ecc, e quando ci saranno nuove potenziali maggioranze che vorranno chiamare il Sudtirolo Nuova Ucraina dovrai lasciarli liberi di farlo. E’ questa la pace sociale? Ah già la libertà nella sfera sociale, e cosa vuol dire? Il sociale è composto di rapporti tra individui, sono essi liberi, liberi anche il sociale. Rapporti e sociale io li vedo inseriti nella sfera culturale. Il problema è che per diventare esseri liberi veramente, bisogna smetterla di aggrapparsi al passato con spirito vendicativo. Oltretutto un passato che riguarda i nostri nonni. Engstirnig mi pare questo desiderio di una patria a tutti costi con cui identificarsi. Io non mi identifico con nessuna patria mi sento heimatlos e sto benissimo così. La mia patria sono proprio quei rapporti sociali in cui cerco di sentirmi un libero cittadino del mondo.

  42. Basisdemokratie ist keine Einschränkung der Handlungsfähigkeit einer Regierung. Und Freiheit bedeutet bezogen auf die wirtschaftliche Sphäre im obgenannten Kontext in erster Linie die Freiheit des Einzelnen von den ökonomischen und gesellschaftlichen Zwängen des marktwirtschaftlichen Systems. Nur dann wird “sozial” als das verstanden was es ist, der humane, nicht verdinglichte, nicht auf Produktivität und Kosten reduzierte Wert des Menschen. Es muss der ökonomische Rahmen geschaffen werden innerhalb dessen, der Mensch qua Mensch leben kann, nicht als Zahnrad funktionieren muss.

    Dass es Perspektiven einer Selbstbestimmung gibt, welche nicht rückwärts gewandt sind, sondern in die Zukunft weisen und in welche alle Sprachgruppen einbezogen sind, geht klar aus allen vorhergegangenen Beiträgen hervor.

  43. @ les..ma così non porti il principio della libertà nel mondo economico, per fortuna, ma quello della solidarietà, fratellanza.
    Insistere sulla autodeterminazione del Sudtirolo e tutto questo sbandierare il 2009 come anno patriottico porterà solo ad un nuovo aumento delle destre italiane a bolzano e alle prossime elezioni comunali rischieranno il colpaccio,
    ma alla maggioranza dei sudtirolesi credo non importi molto, tanti probabilmente lo desiderano per alzare ancor di più le barricate..

  44. Es geht nicht darum Freiheit für den Markt oder die Wirtschaft einzufordern, sondern die Freiheit des Menschen in der Wirtschaft. Basisdemokratische Mitbestimmung auch in Betrieben. Freiheit von ökonomischen Zwängen bedeutet nicht, dass die Wirtschaft, im Kontext, wie wir sie heute verstehen, frei ist von Verantwortung für die Allgemeinheit, sondern, dass der Mensch frei wird von den Zwängen des Konsums und seiner Unmündigkeit im ökonomischen Geschehen.
    Gerade soziale Belange sind es, die die Ethnien oder Sprachen einen könnten, wo Berührungspunkte da sind, die kulturelle Barrieren überwinden können.
    Diese sozialen Aspekte können, wie schon erwähnt, viele Menschen zur Besinnung führen und sie erkennen lassen, dass in der Gegenwart ethnische Grabenkämpfe nicht nur überholt oder zweitrangig sind, sondern, dass sie sogar in gewisser Weise von den tatsächlichen Problemen der Gegenwart, die zweifelsohne sozialer Art sind, bewusst oder unbewusst ablenken bzw. darüber hinwegtäuschen.

    Das Andreas-Hofer-Gedenkjahr wird sicher ein Erstarken patriotischer Tendenzen mit sich bringen. Es gilt aber diese Tendenz nicht von vorneherein zu verurteilen. Vielmehr muss man auf Seite der deutsch- und ladinisch-sprechenden Südtirolern verstehen, dass es legitim und wünschenswert ist, im Sinne eines pluriethnischen Südtirols, die eigene Kultur zu bewahren, zugleich aber anderen Kulturen offen und respektvoll zu begegnen. Das Gedenkjahr darf nicht dazu missbraucht werden neue ethnische Gräben aufzureisen, dennoch ist es nicht falsch, dass Italiener, Deutsche und Ladiner innerhalb ihres Kulturkreises je eigene Traditionen und Bräuche leben.
    Bei der deutschen und ladinischen Volksgruppe gibt es ein Grundverständnis für das Recht auf Selbstbestimmung, es liegt nun auch an den Südtirolern italienischer Zunge einen Zugang zu diesem Thema zu finden, damit beide Sprachgruppen gemeinsam neue Perspektiven für Südtirol eröffnen können.
    Die Brennergrenze, und da müssen auch die Italiener mehr Einfühlungsvermögen zeigen, ist gleich den Mahnmälern in Bozen, Reschen und Bruneck ein faschistisches Relikt, Autonomie hin oder her. Das ist eine Problematik die zweitrangig ist, vergleicht man sie mit bedeutenden sozialen Anliegen, aber das Thema Selbstbestimmung ist wohl ein fundamentales Thema, wenn wir von Zusammenleben und Frieden zwischen den Sprachgruppen sprechen. Die Diskussion über die Mahnmale aus der faschistischen Herrschaft in Südtirol ist auch eine Oberflächenentscheidung dieser viel tiefer sitzenden Wunde in der Südtiroler Mentalität, nie selbst frei über die eigene territoriale Zukunft entschieden zu haben.

    Die zentrale Frage, und da liegt der Ball auch bei der italienischen Sprachgruppe, ist ob die Selbstbestimmung ein Thema der chauvinistischen Rechten bleibt, oder ob es gelingt diese Idee mit einer plurikulturellen, basisdemorkatischen und sozialen Vision von Südtirol zu verbinden. Damit die Wunden der Vergangenheit heilen, ethnische Gräben überwunden werden und eine gemeinsame Idee die Volksgruppen unter sich vereint.

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