AUTONOMIA, Diario dalla “Convenzione”: Minoranza, tutele e libertà

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Venerdì 8 luglio 2016. Dunque oggi siamo arrivati al dunque: la “tutela delle minoranze”. Che sarebbe come dire: “convivenza”. Invece si parte dal “Minderheitenschutz” e questo la dice già lunga.

Quindi mi iscrivo al volo, scavalcando Durnwalder, che per una volta arriva secondo. Attacco con la domanda: “Che significa tutela delle minoranze nell’anno 2016, rispetto al 1972 dello Statuto?”. Semplice: è cambiato il mondo.

Indico tre fattori:

  • Primo, la società sudtirolese da statica è diventata mobile. Non solo sono arrivati oltre 50.000 migranti. Anche i “nostri” (e soprattutto le “nostre”) si muovono. Soprattutto chi è giovane, vive nel mondo. Studia all’estero, viaggia, va e torna. E spesso si scontra con un sistema fondato sulla stabilità della residenza, sulla stanzialità. Non basta: la scolarità si è innalzata enormemente, le donne sono entrate massicciamente nel lavoro, l’economia e le imprese si sono internazionalizzate. E infine: anche la società locale richiede mobilità per funzionare: cerchiamo 100 medici e non li troviamo e li chiamiamo dalla Germania e dall’Italia, ma il 70% viene escluso perché non ha il patentino. Come la mettiamo? La geografia sociale e linguistica del 1972 non c’è più e bisogna trarne le conseguenze.
  • Secondo: è cambiata la geografia dei poteri. Nel 1972 dominavano ancora lo Stato e la Regione. Lo Statuto ha rovesciato questo ordine dei poteri, spostandoli sulla Provincia. E nella Provincia la minoranza governa, è “padrona a casa sua”. Oggi a tutelare la minoranza linguistica non sono tanto gli istituti della separazione, ma il fatto che la Provincia esercita la piena sovranità sulla maggior parte degli “affari correnti”. La minoranza non ha più bisogno di starsene chiusa in un biotopo protetto dalle grinfie del rapace Stato italiano, ma governa il territorio con pienezza di poteri e maggioranze bulgare. Quindi: abbiamo ancora bisogno delle corazze d’acciaio dei tempi duri? Non sarebbe più ragionevole pensare così: Più autonomia = più disarmo etnico?
  • Terzo: nel mondo e in Europa si è affermato un concetto più evoluto di tutela delle minoranze. Accanto alla tutela è stato messo il concetto di “libertà di scelta”. Cioè: gli strumenti di tutela (es: scuola in madrelingua) ci sono, ma ogni persona è libera di avvalersene oppure no, oppure di percorrere strade diverse, più confacenti al suo progetto di vita”.

Detto questo, arrivo rapidamente alle proposte principali:

  1. Rendere possibile la libertà di scelta significa affiancare alla scuola in madrelingua l’offerta aggiuntiva di una scuola plurilingue per chi la vuole, vissuta insieme da bambini e docenti italiani, tedeschi, ladini e di altre provenienze. E’ un progetto non solo di apprendimento linguistico, ma di socializzazione in un “Sudtirolo indiviso”. Condizioni: iscrizione volontaria, formazione dei e delle docenti provenienti dalle diverse intendenze, accompagnamento scientifico di alto livello.
  2. Eliminare istituti punitivi fondati sul sospetto verso la persona, significa rendere libera almeno la prima dichiarazione linguistica. Oggi se un diciottenne si dimentica di farla entro un anno, quando la fa viene poi penalizzato con 18 mesi di attesa. Capita spesso ed è un’assurda cattiveria dei vecchi contro i giovani.
  3. Eliminare difese obsolete significa eliminare i 4 anni di residenza come presupposto per votare. Non esiste da nessuna parte. Lascia senza diritti chiunque venga da fuori. Provoca frustrazione al primo impatto con l’autonomia. Il Trentino prevede un anno. E’ sufficiente, se proprio si vuole.
  4. Prendere atto che alcuni strumenti hanno ormai avuto il loro effetto significa domandarsi se hanno ancora senso nell’attuale forma. Mi riferisco a proporzionale e patentino di bilinguismo. La proporzionale può essere alleggerita laddove sia realizzata? Può diventare una sorta di freno d’emergenza di fronte a eccessivi squilibri, più che un diktat a che lascia posti vuoti pur di non occuparli con la persona “sbagliata”? (bella sensazione sentirsi la persona sbagliata, vero?). Così anche l’attestato di bilinguismo: non si potrebbe spostare l’accento sul bilinguismo praticato (da verificare) rispetto al bilinguismo certificato solo sulla carta?

Arrivato qui ho già parlato mezz’ora e mi fermo, in attesa della tempesta.

Foto qui e sulla testata: materie insegnate in tedesco in scuole italiane che adottano il metodo CLIL

Parte Durnwalder. Molto moderato. Quasi conciliante. I problemi che ho posto ci sono, dice lui, ma vanno risolti pragmaticamente, senza scalfire i principi. Eccolo qui, il Durnwalder dei bei tempi. Quello che “l’immersione si fa, ma non si dice”. I principi: quelli non si toccano! Neppure lo Statuto: giù le mani! Però poi, nel governo quotidiano… Sul bilinguismo non si può cedere, deve valere ovunque, in ogni amministrazione pubblica, anche nello stato, anche nei settori finora esclusi come la polizia!. Poi, certo, se servono medici si può fare qualche deroga… Mi vien da pensare: Vizi privati e pubbliche virtù?

Sulla scuola, niente scuola bilingue (è ancora Durnwalder che parla). La libertà di scelta è assicurata dalla libertà di iscrizione: i genitori che vogliono una formazione purilungue non devono far altro che mandare i figli per qualche anno alla scuola tedesca e qualche anno a quella italiana. Gli italiani hanno bisogno di qualcosa di più? “Io ho proposto anni fa che la intendenza tedesca istituisca sezioni tedesche nelle scuole italiane”. E poi vanno cambiati i metodi, vanno motivate le persone, c’è tanta “Luft nach oben”, senza bisogno di rivoluzioni. Così la proporzionale: guai toccarla, difende tutti. “Poi nella prassi si può fare deroghe, io stesso ne firmavo a ogni seduta di giunta!”. Infine la dichiarazione linguistica: se liberalizziamo il momento della prima dichiarazione, apriamo la porta all’opportunismo: la faranno quando gli fa comodo, dichiarandosi cosa gli fa comodo e non per quel che sono (cosa che apre la gigantesca questione se il dichiararsi “italiano” o “tedesco” indica un’essenza ontologica – sangue? – oppure una scelta – volontà? – tema ovviamente troppo grande anche per un Konvent).

Mentre Durnwalder arriva a questo punto, io mi dico: ok, mi ha contraddetto su tutti i punti, adesso arriverà il suo “pacchetto”. Invece no: lui si ferma qui. Ha ripercorso la mia scaletta, senza aggiungere nulla. Dunque questa sera – penso – l’agenda l’ho fatta io. Che è già un successone.

Ora parla Bizzo. Anche lui ripercorre tutti i miei punti e li sostiene al 100%, su alcuni addirittura caricando al massimo, e proprio non me l’aspettavo. D’accordo su diritto di voto e libertà nella prima dichiarazione. Ma è sulla proporzionale che va giù durissimo, che da uno del Pd non te lo saresti mai aspettato. Fa l’elenco dei settori dove la proporzionale blocca il sistema dei servizi pubblici: sanità, pulizie, rifiuti, trasporti, università… Il “pragmatismo” alla Durnwalder porta a soluzioni pasticciate: precarietà nel lavoro, deroghe, esternalizzazioni, violazione sostanziale dei diritti sia di chi lavora che dell’utenza. Poi passa alla scuola e lì seconda sorpresa: Bizzo (Bizzo! Pd!) propone “un solo assessorato alla scuola, uniche graduatorie per tutto il personale” e in questo contesto ovviamente una scuola aggiuntiva bilingue.

Durnwalder si inserisce di par suo: prende quello che gli serve e scarta il resto. L’articolo 19 non si tocca, la scuola plurilingue va bene a Bruxelles per i figli dei diplomatici, non per noi. Però l’assessorato unico va bene, e già che c’è aggiunge: “La Provincia deve richiedere la competenza esclusiva sulla scuola”.

Io ribatto subito: “Così non va: più potere alla Provincia deve significare smantellamento dei muri, più libertà! Non puoi volere competenza primaria e continuare a vietare la scuola plurilingue!”. Lui capisce, lo sa. E dice: “Beh, certo: ogni volta che la Provincia acquisisce un potere in più, si crea più fiducia, e nella fiducia si può discutere di tutto”. Nella pausa poi mi confida – penso di poterlo rivelare – che ad esempio sul diritto di voto (per dire: 2 invece di 4 anni) lui è disposto a trattare, “ma non senza nulla in cambio, lo sai come ho sempre fatto!”. Lo so, sì. Lo so.

E la famosa “destra tedesca”? E la gioiosa machina da guerra degli Schützen che, si legge sui giornali, avrebbe presidiato il Convento? Per la prima parte tacciono. E lasciano che uno dopo l’altro chi rappresenta la Svp si accodi al pragmatico ex Landeshauptmann (Maria Kuenzer, Magdalena Amhof…). Poi però arriva anche il turno dell’ala dura. Proposte non ne vengono, salvo il patentino obbligatorio per i poliziotti. Ma un bel catenaccio, quello sì. Ewald Rottensteiner: “Per abbassare le tutele ci vuole fiducia nello Stato e questa noi non l’abbiamo”. Florian von Ach: “La scuola tedesca deve restare tedesca, la scuola italiana deve restare italiana. Altrimenti la minoranza è morta!”. Durissimo anche Toni Tschenett, del sindacato ASGB: “Basta con gli esperimenti, il sistema funziona e non c’è nulla da cambiare”. Però, insomma: mi sembrano tutti in difensiva.

Diverso (un po’) il discorso di Wolfgang Niederhofer, che da anni sul blog “BBD” cerca l’ardita sintesi tra secessione e convivenza. Trova la mia correlazione, più poteri = più libertà, “spannend”. E la vuole sviluppare sotto la domanda: di quanto potere ha bisogno il Sudtirolo per poter smantellare gli istituti della tutela e della divisione? La sua risposta: ha bisogno di raggiungere la “Eigenständigkeit”, cioè l’indipendenza. In un Sudtirolo non sottoposto al “Nationalstaat” tutto diventa possibile: la scuola plurilingue (che riconosce essere opzione desiderabile), il superamento della proporzionale, un bilinguismo praticato al di là delle certificazioni ecc… Ma non ora, non in queste condizioni. Diversamente dal fronte Schützen, però, per lui l’essenza del Sudtirolo “è plurilingue” (e non solo “tedesca”) anche se la “libertà di scelta” della singola persona non gli scalda il cuore: apprezza il principio della individuelle Selbstbestimmung, ma se si vuole tutelare una minoranza va affermato il superiore principio dell’”interesse collettivo”, e cioè comunitario (non ricorda il tanto vituperato “interesse nazionale”?). La perdita del gruppo minoritario é come l’estinzione di una specie: irreversibile. Wolfgang mette anche in guardia dal “neoliberalismo” applicato all’autonomia, dal libero mercato delle libertà individuali che porta alla fine al prevalere del più forte. Qui mi fa riflettere e glielo ammetto.

In mezzo a questa discussione Laura Polonioli intarsia interventi miti ma precisi. La sua forza è l’esperienza di una madre con due figli che stanno percorrendo tutto il corso di una scuola plurilingue, la Manzoni di Bolzano. Lei sa di che parla. E ne sa raccontare i pregi e i limiti e sa che questi limiti sono nel sistema: per esempio il reclutamento degli insegnanti delle materie insegnate in tedesco o inglese. Se le graduatorie sono separate e tu puoi attingere solo da quelle italiane, dove li trovi? E’ Laura che racconta il desiderio dei genitori e i successi dei figli (“funziona, garantisco!”), è lei che punta il faro sull’esistenza “delle famiglie mistilingue”, dove un papà è tedesco e una madre è italiana e la figlia non ha solo una madrelingua, ma anche una padrelingua. E con questa bambina come la mettiamo?

Le tre ore del Konvent sono passate in un soffio, abbiamo affrontato stavolta il cuore della convivenza e sono contento di essere riuscito a dettare l’ordine del giorno. Chi non era d’accordo ha reagito, ma proposte non ne ha fatte. Salvo la conservazione dell’esistente. Propongo che qualcuno faccia sintesi della discussione e rediga documenti finali – da rileggere e approvare – per non disperdere la discussione. Il risultato della Convenzione, alla fine, sarà questo. Proposta accolta: lo farà l’Eurac. Passo avanti.

Prossimo Convento il 2 settembre. Tema: Autonomia e competenze legislative. Tecnico ma fondamentale.

 

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